30 settembre 2008

Nipoti...

Una delle tante atrocità commesse dai militari argentini durante l'ultima dittatura è stata la sottrazione ai prigionieri dei loro figli. Molti bambini sono nati in prigionia e i militari, dopo aver ucciso i genitori, hanno regalato o venduto i bambini a famiglie di altri militari o di persone coinvolte con la dittatura.

Oltre alle due associazioni di Madres de Plaza de Mayo, ce n'è anche una di Nonne di Plaza de Mayo il cui obiettivo è di ricuperare i nipoti scomparsi. E finora ne hanno ritrovati quasi un centinaio.

Ecco, questo è un appello per trovarne un altro (bambini che ormai hanno all'incirca la mia età, poiché nati principalmente tra il 1976 e il 1983). Lei si chiama (si chiamerebbe...) Clara Anahí Mariani ed è nata il 12 agosto 1976 a La Plata, provincia di Buenos Aires, Argentina.

La nonna, ormai molto anziana, è alle ultime. Se conoscete qualche argentino, uruguaiano, o qualcuno che visse in argentina in quegli anni, per favore inoltrate il messaggio. Anche in questo modo sono riusciti a trovare i bambini rapiti...

Eid Mubarak!!!

No, non sono diventato un fan del presidente (da 30 anni...) egiziano Mubarak. "Eid Mubarak" è l'augurio che da oggi si scambiano i musulmani per la festa dell'Eid al-Fitr, che segna la fine del Ramadan. Da oggi fino a venerdì sarà come tra Natale e l'Epifania: si visitano amici e parenti, ci si scambia doni, si va in moschea a pregare, si fanno supermega mangiate.

O si scappa in Giordania per una gran vacanza di relax e puro cazzeggio, come farò io! Ormai è tutto pronto, partenza domattina in direzione Amman (W la Lonely Planet e i suoi super suggerimenti!) e tappa obbligata a Petra.

In questo periodo (tra ieri notte e oggi) si festeggia anche Rosh haShana, il capodanno ebraico. Ma non ho ancora capito se fanno qualche cosa oppure no (è una festa religiosa). Penso che andremo comunque a Gerusalemme a fare un salto. Finalmente senza fusoriario!
Ammesso che ci lascino passare: infatti l'esercito israeliano ha informato che chiuderà tutti i punti di accesso per chi arriva dalla Cisgiordania...

29 settembre 2008

"Another brick in the wall" (un altro mattone nel muro)

Pessima nottata passata a guardare una clamorosa sconfitta del Boca per 4-1 (vabbé, succede).
E stamattina sveglia alle 6.00 per essere alla Porta di Jaffa a Gerusalemme alle... 8.30. Sì, è giusto, se consideriamo il "jet-lag" dovuto al surreale fusorario ancora in corso e al tempo che si perde per uscire dal checkpoint di Beit Jala.

Nei giorni scorsi ho spesso criticato molti aspetti e caratteristiche dei palestinesi ma non ho mai perso di vista il problema di fondo (che alcuni, non ho capito in base a quali assurdi ragionamenti, smentiscono sia il vero problema): cioè che qui si vive sotto occupazione. Al checkpoint, infatti, una giovane e minuta soldatessa israeliana ci ha fatto scendere tutti dal bus. Si vedeva che non ne aveva voglia ma doveva adempiere al suo dovere, visto che c'era anche un omone in abiti civili ma con mitraglietta e giubbotto anti-proiettili che la controllava.

Buoni buoni, senza fiatare, siamo scesi e ci siamo messi tutti in fila per eventuali perquisizioni (che non ci sono state, stavolta) e controllo documenti. C'è stato un breve battibecco fra la ragazzina bionda in verde militare e una donna araba, ma nulla di ché. La ragazzina, nonostante tutto, mi ha fatto un po' di pietà e ho voluto farle risparmiare un paio di secondi mostrandole subito la pagina del passaporto col timbro. Ha ringraziato con un mezzo cenno di sorriso...

Vedere i palestinesi scendere, mettersi in fila senza protestare e guardando per terra è stato peggio. Loro questa trafila se la devono fare ogni giorno (chi ci riesce). E stavolta è andata bene. In questo conflitto in corso c'è chiaramente una parte più debole, che subisce quotidianamente sopprusi e angherie. Da quasi un secolo ormai. Sarei stupido a dubitare: io sto con i palestinesi. Questo non si discute.

(Apro parentesi perché voglio evitare la logica escludente del "o noi o loro". Che io stia con i palestinesi non significa che sia contro gli israeliani o gli ebrei. E nemmeno contro Israele. E qui chiudo).

Scopo della "gita fuori porta" era di andare a Ramallah per farci (Massimo, Mahira e io) fare il visto al consolato giordano per andare ad Amman questa settimana. Approfittiamo della "Festa" di fine Ramadan per rinnovare il visto, che scade fra pochi giorni.

Per andarce a Ramallah, siamo passati per Gerusalemme est e precisamente dalle parti di Qalandia e al-Bireh. Qui il "muro di difesa" dà il peggio di sé: oltre ad essere bruttissimo, ha letteralmente vivisezionato l'intera zona. Massimo, che da queste parti ci viene spesso per lavoro, mentre faceva da Cicerone spiegandoci il percorso del muro e tutto ciò che lo riguarda,
ad un certo punto è addirittura rimasto interdetto: "Ma sta parte qua... l'altro ieri non c'era. Quando cazzo l'hanno tirato su?"

Another brick in the wall...

Messico, sempre più verso l'autoritarismo...

Il governo corrotto del Messico, che vinse le elezioni in maniera fraudolenta anche grazie al solito "aiutino" degli Stati Uniti, sta creando una situazione ormai peggiore di quella colombiana.
Repressione, assassinii, violenze, stupri politici, persecuzioni, tortura...

Come al solito in Italia non ne sappiamo nulla (abbiamo dei mezzi d'informazione molto competenti). E quello che sappiamo (di America Latina) arriva sempre con una visione distorta (tra i massimi colpevoli c'è la Repubblica, col suo incompetentissimo giornalista Omero Ciai) o platealmente falsa. Chissà perchè...


L'ultima grave notizia -ultima fra le tantissime brutte notizie- è quella dell'assassinio di una giovane (21 anni) attivista statunitense nella città di Oaxaca che fu teatro nel 2006 di una feroce e violenta repressione da parte dello stato contro la popolazione civile. Una carneficina di cui si parlò soltanto perchè fu ucciso un giovane giornalista freelance statunitense, Brad Will

Maggiori notizie qui ...

27 settembre 2008

Cocktail esplosivo...

Oggi al CCRR ho assistito ad uno spettacolo per me insolito...
È arrivata una piccola comitiva multietnica la cui composizione era già di per sé molto particolare: oltre ad una ragazza di Strasburgo che lavora per il Consiglio d'Europa, c'erano un macedone, una kosovara albanese e un serbo. Insomma: gente che potenzialmente potrebbe scannarsi appena si vede da lontano. Come se non bastasse, c'era pure un ebreo israeliano, arrivato un'aria che odorava di sfida (anche se probabilmente non era quella la sua intenzione). Aggiungiamoci Noah, palestinese, e gli ingredienti della potenziale miscela esplosiva ci stavano tutti. (se aggiungevamo uno statunitense, mi ci mettevo io a completarla! he he!).

Come mai questa variegata rappresentativa di due dei più duri e complessi conflitti etnici che minano la stabilità delle relazioni internazionali?

Beh: anzitutto, quelli che sono arrivati oggi sono tutti attivisti per la pace che, da vari anni, lavorano nella risoluzione dei conflitti in varie ong, e con un bel background anche formativo alle spalle (master, dottorati, ecc.). L'idea di fondo è quella di creare un network di associazioni e realtà sia balcaniche sia mediorientali che si possano conoscere per scambiare esperienze e metodi, attraverso incontri o seminari o internships.

Per semplificare: darsi una mano fra gente presa con le bombe (in tutti i sensi) e quindi che capisce per esperienza sulla propria pelle quali siano i problemi da affrontare.
Loro l'hanno chiamata con un'espressione interessante: "cross-fertilization" (fecondazione incrociata). Che significa "scambio tra differenti culture o differenti modi di pensare che è reciprocamente produttivo e benefico".

Ho avuto un assaggio delle difficoltà che ci possono essere anche per l'ovvio scontro di punti di vista diversi quando, ad un certo punto, il dibattito si è acceso sulle metodologie di risoluzione del conflitto in Palestina. Noah insisteva sull'inutilità dei cosiddetti "hummus meetings", cioè quegli incontri "peace&love" fra israeliani e palestinesi (ne ho parlato anche in vecchi post). Al contrario, l'israeliano controbatteva duramente e senza peli sulla lingua dicendo che saranno anche inconclusivi e freakettoni ma quanto meno hanno il potere di intaccare gli stereotipi dei palestinesi che hanno i giovani israeliani. I due non si sono risparmiati critiche però è stato interessante proprio questo aspetto. E soprattutto: ho visto quanto sia difficile (forse anche di più) per gli israeliani affrontare l'argomento. O meglio: il loro ambiente è piuttosto ostile per cui parlare di riconciliazione risulta difficile e se i palestinesi vengono percepiti come intransigenti (questa era la "accusa" mossa a Noah) non si fa altro che complicare le possibilità di dialogo. "Così non ci facilitate il lavoro, e permettete che i giovani israeliani pensino che voi siete solo dei kamikaze che si fanno esplodere negli autobus". D'altra parte, ribatteva Noah, se le ong palestinesi non lottano per obiettivi concreti (= la fine dell'occupazione e il diritto al ritorno dei profughi), non avranno mai nessuna speranza di convincere la gente della necessità di dialogare e, anzi, il rischio di essere considerati collaboratori degli israeliani (o peggio: traditori) è molto concreto. E le conseguenze non sono delle migliori.

Ho capito anche quanto sia difficile per entrambi -ong israeliane e palestinesi che lavorano per la pace- convincere i rispettivi popoli della necessità del dialogo, del confronto, dell'incontro. Una specie di lotta contro i mulini a vento...

Insomma... Wow... Com'è intricata sta matassa...

Eid al Fitr

Finalmente...
La settimana prossima finisce il Ramadan e da martedi' (fino a domenica!) saremo in vacanza per la "festa" (Eid al Fitr, appunto). Una settimana che useremo per SCAPPARE e fare un bel reset di pensieri e cervello. Destinazione? LONTANO DA QUI!!! Molto probabilmente Giordania cosi' ne approfittiamo per rinnovare il visto. Non scartiamo neanche l'ipotesi Haifa...

E' arrivato l'autunno anche a Betlemme: dopo mesi e mesi stamattina le strade erano bagnate di pioggia. Ora pero' c'e' sole di nuovo e fa caldo anche se non come prima...

Ho finito la bozza per la valutazione del progetto YNP. Aspetto i commenti e nel frattempo cazzeggio un po'.

Ieri di nuovo in universita' a Betlemme, solo per salutare il mitico Gianni Vaggi! Per noi l'attrazione di questa settimana e' stata lui, altro che McCartney! he he he!

26 settembre 2008

Sheikh Bilal

Ieri al CCRR c'erano due cooperanti dell'agenzia tedesca per lo sviluppo (DED). Poiché uno di loro era fresco fresco di Palestina, hanno pensato bene di chiedere a Noah di organizzare un incontro con un sheikh (paragonabile a un prete nell'islam) affinché facesse un quadro dell'islam in Palestina e della società palestinese. Ho partecipato anch'io, sperando in qualche risposta ai miei dubbi. Devo dire che ora ho capito qualche cosa...

Lo sheikh Bilal, come quasi tutti gli adulti palestinesi, è stato un attivista politico (di Hamas) e ha passato un po' di anni in carcere. Ora collabora con il CCRR in vari progetti di dialogo interreligioso e insegna teologia all'università.

Ecco: l'insegnamento più grande che abbiamo ricevuto è proprio questo. Che la chiave di volta è l'ISTRUZIONE. Secondo lo sheikh ora c'è un grande ritorno della gente all'islam ma solo in seguito alla delusione politica per il fallimento dei movimenti di liberazione. Quindi spesso si tratta di una religiosità o di comodo o, troppo superficiale (come i cristiani che si limitano alla messa domenicale e, appena fuori, tirano un rosario di bestemmie vantandosene pure).

Però la gente spesso si ferma a quelle che crede siano le parti salienti: come imparare a memoria il Corano e mettere il velo alle donne. Secondo lui sono cose senza senso (d'accordo) e smentisce che sia un obbligo quello del velo, e soprattutto che le donne devono essere consenzienti. Cosa che spesso, però, non succede: di solito vengono obbligate dai maschi (padri, fratelli, mariti) per un discorso di "onore". La questione di genere è, quindi, un problema sociale derivato dalla tradizione ma solo mascherato da obbligo religioso. Grave senz'altro ma non derivato direttamente dall'Islam. Ah, anche la storia della poligamia ci viene spiegata sotto una nuova luce: è vero che sul corano c'è scritto ma c'è scritto anche che si tratta di un privilegio riservato alle persone completamente giuste e pure. E lo stesso Corano afferma che tali persone non esistano (la perfezione, insomma, non è una caratteristica umana)...

Il problema grosso di tutta questa faccenda è che tutti si sentono legittimati a parlare di religione (me n'ero accorto...) e la situazione dell'Islam praticamente consente a chiunque (maschio) di diventare un'autorità religiosa (ovvero sheikh o imam) senza un'adeguata preparazione. Noah raccontava, ad esempio, di alcuni corsi di un paio di mesi organizzati in Pakistan... Pensandoci bene, è un bel problema: i nostri preti devono studiare anni e anni. Qui no, anche per mancanza nell'Islam di un'autorità centrale come la Chiesa. Il tutto si complica sapendo che gli sheikh e gli imam hanno un potere molto forte sulla comunità. Un potere che è anche politico (e infatti molti sono cooptati da partiti politici).

Insomma: sintetizzando tre ore e semplificando notevolmente, l'unico modo per migliorare un po' la situazione generale sarebbe quella di rimuovere un'intera generazione di religiosi e rimpazzarla con gente adeguatamente preparata e istruita.

La chiave di volta è l'istruzione...

24 settembre 2008

Occupazione e follia

Meno male che alla fine del Ramadan c'è la "festa" per la quale staremo in ferie per circa una settimana. Credo che scapperò da qualche parte, forse ne approfitterò per andare in Giordania per rinnovare il visto. Oggi, intanto, ho voluto scappare da Betlemme e fuggire su in collina, verso ponente. Per vedere un po' di campagna, un po' di alberi, avere un po' di pace; leggere qualche poesia sdraiato su una roccia mentre gli ultimi raggi del sole illuminano la pagina e la brezza serale si porta via i miei pensieri.

Qualche giorno fa avevo trovato un posto pacifico, isolato, quieto. Il destino ha voluto che sbagliassi strada.

Scappavo dall'occupazione. Sono andato a sbatterci contro...

(talmente tanto che alcune foto non le ho scattate perché stavo incuriosendo troppo i militari israeliani)...

Scena 1: strada improvvisamente bloccata. (è uno dei mezzi usati dall'esercito israeliano per controllare il traffico)
Scena 2: check point di Beit Jala. Sulla foto una caserma israeliana. La foto l'ho fatta di spalle ad una...
postazione militare israeliana. Sì, un'altra. In corrispondenza di un tratto di Muro non ancora finito.





Scena 3-4-5: il Muro e il suo percorso senza senso (è quel serpente grigio che
si intravvede tra le case). Anche perché scorre tutto DENTRO la Cisgiordania....


Scena 6: beh, c'è scritto. Anche se sembra un casello autostradale, non ci troveremo mai un'addetto di Autostrade Spa

Sulla vicenda dell'attentato a Gerusalemme dell'altro giorno, riporto il commento di uno che da quelle parti ci vive. Il commento è anche alla fine di quel post (...sembra quasi una mezza parolaccia) ma, per evitare che passi inosservato, eccolo:
Ciao Korke........non cè mai un limite al peggio dici?
Approfitto di questa occasione per scrivere anch'io sul BLOG.
Sull'attentato: non so sei hai presente l'incrocio alla porta nuova della Old City, sulla strada che porta al centro notturno di Gerusalemme, ma in salita, piena di semafori e perdere il controllo, percorrere tutto il marciapiede e prendere a caso(?) 13 militari sembra un pò inverosimile.....anche se è vero che il ragazzo non aveva la patente(parole della madre), era depresso perchè la donna l'aveva mollato(mossad)....e sul finire del Ramadam i palestinesi perdono un po la testa. Ieri sera lite tra vicini di casa (mia!?!), futili mitivi ma c'era già pronti coltelli.....100 persone coinvolte almeno......già una volta però si sono sparati qua sotto in passato. Nel frattempo fanno i lavori nella Arab junction* e nel mio viale, eri sera hanno lasciato un cratere aperto, che se ci finisco dentro con una ruota mi vengono a riprendere gli speleologi.
PAR CONDICIO...ovvero parliamo male pure di quelli con le treccine...domenica al parco di Jerusalemme mi hanno tagliato le gomme (ho usato il plurale perchè erano esattemente in un numero maggiore rispetto alla ruota, singolare, di scorta)della COOPI car.... il servizio di emergenza mi è venuto a recuperare 3 ore dopo, verso mezzanotte. NO COMMENT
*"Arab junction" è il soprannome di un incrocio folle di Gerusalemme Est, dove quotidianamente e a ogni ora si materializza tutta la follia dell'umanità al volante...

Boca-ta d'aria

Gia', sono di umore un po' basso. Per fortuna il Ramadan sta finendo e ci aspetta quasi una settimana di ferie. Molto probabilmente fuggiro' da qualche parte per riacquistare forze ed entusiasmo.

L'ho gia' scritto in precedenza e credo non sia mai stato un mistero: sono un calciofilo estremista. E il calcio, in questi momenti, spesso mi tira su. Domenica, purtroppo, il mio Boca ha perso in casa dopo 39 partite imbattuto. Amarezza mitigata solo dalla figuraccia rimediata degli eterni nemici del riv*r e l'ennesima contestazione dei loro "tifosi". (La 12 non sa cosa significhi "contestare la squadra").
Ma ieri c'e' stato un piccolo miracolo. Si giocava l'andata dello scontro con i campioni in carica della Copa Libertadores, gli equatoriani della Liga Deportiva de Quito, per le eliminatorie di Copa Sudamericana (l'equivalente della Uefa). Il Boca -che domani ha pure un'altra partita!- schierava principalmente dei giovanissimi, alcuni addirittura all'esordio. Scelta un po' rischiosa ma dovuta. Ormai sta diventando una caratteristica di questo sorprendente Boca molto ringiovanito, che i giornali chiamano "el Boca de los pibes" (ragazzini) o "de los nenes" (bambini) o addirittura "mamadera" (biberon).

Prima di scendere in campo, il carismatico allenatore Ischia ha semplicemente detto ai giovani un po' nervosi: "Andate e godetevi la partita". Gli avranno dato ascolto? A quanto pare...

Risultato finale: 4-0 per il Boca. Orgoglio auriazul e sorriso nell'anima per me. :-)



Si vede che nel nostro biberon non c'era latte cinese...


23 settembre 2008

Attentato a Gerusalemme

Come saprete, ieri sul tardo pomeriggio un'automobile guidata da un 18enne arabo-israeliano ha travolto quasi una ventina di persone a Gerusalemme. Il guidatore è poi stato ucciso dalla polizia israeliana. E' il terzo attentato di questo tipo anche se qualche dubbio resta.

Come mi aspettavo, non c'è stata alcuna reazione, almeno qui a Betlemme: come se non fosse successo nulla. Pura e semplice apatia.

Perché i dubbi? Sembra che il presunto attentatore non abbia lasciato nessun messaggio sulle sue intenzioni di diventare "martire" e che non l'abbia nemmeno manifestato a nessuno. E questo non è poco. I parenti dicono che si sia trattato di un incidente, tragico, ma pur sempre di un incidente.

Ora: non conosco la dinamica dell'accaduto e non mi ci metto neanche a scoprirla. Per cui vi invito a non prendere sul serio quello che sto per scrivere (anche se lo scrivo seriamente e non per burla).
La mia ipotesi è che il ragazzo fosse in ritardo per l'Iftar, cioè la cena che interrompe il digiuno del Ramadan.

Perché lo dico? Se aveste mai visto cosa succede appena il muezzin canta al tramonto, capireste. Sembra quasi la scena dei film di Fantozzi in cui i dipendenti si preparano ad abbandonare in fretta e furia il luogo di lavoro al suono della campanella. Non voglio sembrare irrispettoso ma più o meno va così...

Altra cosa: chi ha visto quanto male guidano i palestinesi e quanto sono estremamente pericolosi quando si mettono al volante, sarà d'accordo con me nel prendere almeno in considerazione la probabilità di un incidente piuttosto che di un attentato.

Tutto questo non per dire che i palestinesi sono tutti dei santi e non farebbero mai male ad una mosca. Ovviamente reagiscono anche loro, in una logica di cerchio vizioso della violenza (tanto che ad un certo punto non si capisce più chi abbia torto e chi ragione). Negli ultimi giorni, ad esempio, un adolescente palestinese ha cercato di lanciare una molotov contro l'ingresso di un insediamento ma è stato ucciso prima di riuscirci. E due donne -in tempi diversi- hanno gettato dell'acido su soldati israeliani in uno dei tanti checkpoint.
Da parte israeliana succede sempre di tutto. Inutile scrivere cosa, che tanto già si sa.
Che brutto abituarsi alla morte e alla violenza.

Ciò che mi angoscia, invece, è che Fatah (col supporto di Israele) ha annunciato che si sta preparando per lanciare un'offensiva a Hamas e cercare di riprendere il controllo di Gaza. Pazzi. In questi giorni continuano a fioccare arresti su arresti da parte delle forze di sicurezza palestinesi (leggi Fatah) e non si faranno attendere le reazioni di Hamas.

Non c'è mai limite al peggio.

Non c'è soluzione a questa follia...

21 settembre 2008

P.S. 2

Un post scriptum al post di prima.
Le stesse considerazioni sull'identità valgono per i discendenti di stranieri in Italia. Non capisco perché volerli considerare ancora stranieri quando sono nati, cresciuti e sempre vissuti in Italia.

Come Mario Ballotelli, il calciatore dell'Inter (di genitori ghanesi, ma lui il Ghana non sa nemmeno come sia fatto).

O "Abba", ammazzato come un cane per le strade di Milano...

Argent-arabi

In America latina c'è una piccola percentuale di popolazione araba o di origini arabe. In Argentina, specialmente.
Il caso argentino è particolare perché, come recita un detto popolare: "I Messicani discendono dagli Aztechi, i Peruviani dagli Incas e gli Argentini discendono dalle Navi". Nel bene o nel male, in Argentina è rappresentata quasi tutta l'Umanità. Però, a differenza degli Stati Uniti (altro paese con sorti simili) i discendenti degli immigrati sono stati totalmente integrati e assorbiti nel tessuto sociale argentino. A meno che uno non sia nato in un altro paese o non appartenga a quelle rare comunità straniere che hanno conservato un certo ermetismo (come alcuni nuclei di friulani) gli argentini discendenti di immigrati si sentiranno sempre e soltanto Argentini. Prendete me: rifiuterò fino alla morte che si neghi la mia argentinità!

Anche i discendenti di italiani: diranno "mio nonno era di qua, mio nonno era di là, veniva da tal paesello" ecc. Ma loro affermeranno di essere argentini. Anche quelli che sono arrivati dopo la crisi del 2001 col passaporto italiano o per prendere la cittadinanza italiana: era solo per approfittare di un'opportunità data loro. Non è un caso che molti siano poi andati di corsa in Spagna...

(Molto diverso è il caso dai brasiliani: quelli di origine italiana, magari già alla quinta generazione, continueranno a reclamare la loro italianità).

Per questo motivo mi da un certo fastidio quando si reclama l'origine straniera di alcuni argentini. Mi ricordo, ad esempio, quando l'Argentina di basket batté in finale l'Italia alle olimpiadi di Atene, la Gazzetta dello Sport scrisse che per l'Italia era come averla vinta ugualmente quella medaglia d'oro perché bastava guardare i cognomi dei vincitori: Nocioni, Scola, Delfino, Ginobili... Sì, ma solo i cognomi erano italiani. Accettatelo: abbiamo un'altra identità. Ci piace l'Italia e sempre ci piacerà, ma siamo argentini.
Possiamo anche avere cognomi italiani, spagnoli, baschi, francesi, tedeschi, russi, polacchi, arabi, inglesi, scozzesi, armeni e quant'altro, ma saremo sempre e solo argentini.

Spesso, qui in Palestina, quando dico di essere argentino la gente si rallegra: "Ah! Argentina! Noi amiamo i paesi sudamericani!" oppure "Ah! l'Argentina! È la mia squadra di calcio preferita!" o ancora "Ah! gli argentini! ha i calciatori migliori!" o "Ah! Maradona!".
Del fatto che mi abbiano chiesto contenti cosa ne pensavo di quel presidente di origini arabe che abbiamo avuto negli anni '90, ho già scritto. E la risposta è una lunghissima pagina di insulti e maledizioni.

Un giorno ho chiesto cos'è che piace così tanto dei sudamericani e soprattutto dei calciatori argentini. La risposta, ancora una volta, è stata la stessa: "E' che sono tutti arabi!".

Ieri, però, ho detto basta: "No cari, gli arabi in sudamerica sono pochissimi e non così tanto influenti. E se siamo un po' più scuri di pelle non è per gli arabi ma per i nostri popoli originari".

Ma la cosa più esilarante è stata la risposta di un tizio a proposito della mia curiosità sulla simpatia destata dai calciatori: "Noi sappiamo che molti di loro sono di origini arabe. Batistuta, ad esempio, è siriano".

COSA?!?!?! Ma l'avete visto com'è fatto Batistuta? E' bianco, alto, biondo e con gli occhi azzurri. E il cognome, semmai, è di origini friulane (sarebbe "Battistutta")...


Gli unici calciatori "arabi" (ma solo di origini) che mi vengono in mente sono Claudio Daniel Husaín (nella foto) e un certo Mohamed detto "el turco".

A proposito: i soprannomi a volte aiutano a capire le origini: gli italiani sono chiamati "Tano" (da napoletano) come Belluschi, gli spagnoli "Gallego" o "Vasco" come Arruabarrena, i nordeuropei a volte "Gringo" come Heinze o "Polaco" il tanguero Goyeneche o mio zio (di origini italiane ma di madre svedese!), gli europei orientali o gli ebrei "Ruso" come una mia compagna delle elementari, Andrea Wolf. E gli arabi "Turco" (molti arrivarono nelle Americhe quando ancora c'era l'impero Ottomano). Ma vi posso assicurare che sono tutti argentinissimi.

Ah. Non ho mai sentito nessuno dire "el Turco" Batistuta...


Tuttavia ritengo sia molto triste sentire che ti piace la gente di un altro popolo o di un'altra nazione solo perché appartiene o discende anche lontanamente dal tuo. E lo dico sia per gli arabi che per quegli italiani che vedono l'Argentina come una specie di seconda Italia. Questa è chiusura mentale, non multiculturalità. È assimilazione, non integrazione. La natura e il mondo sono belli perché sono DIVERSI, non uguali...


p.s.: ovviamente Maradona non è arabo! E se anche avesse origini arabe non cambierebbe nulla: resterebbe comunque il miglior calciatore del mondo. Nonché Argentino! ;-)

20 settembre 2008

Deliri

Nell'occhiello del blog c'era scritto dall'inizio: "Deliri, impressioni" ecc ecc.

Ok. Poiché sto cominciando a dare i numeri... via col delirio.

Meno male che alla fine del ramadan ci sarà la "Festa" per cui avremo 4 giorni di ferie. Che io userò per scappare, forse nella laica Tel Aviv. O ad Haifa o in qualunque altro posto.

Oggi, intanto, i tre membri delle Brigate Al-Paviah sono andati all'università di Betlemme (che è cattolica, per cui: preti, suore, crocifissi e bandiere del Vaticano. Sigh... è una persecuzione... Diventerò ateo...) . Volevamo incontrare due nostri ex-professori del master che rifanno la stessa identica cosa anche qui.

L'università è stata una boccata d'aria: finalmente abbiamo visto gente apparentemente più laica e secolarizzata. Non me ne voglia la mia dolce metà, ma vedere donne e ragazze con vestiti attillati, gonne, braccia e spalle scoperte e capelli al vento mette allegria. Al meno è molto meglio che non vedere ragazze che indossando dei pesanti e orrendi cappottoni marroni lunghi fino alle caviglie anche con 40° all'ombra. Però, anche se questa boccata di vita ci ha rinfrancato parecchio, vedere anche qui veli e hidjab oppure vistosi crocioni d'oro e tatuaggi di Gesù (anche se tutti mescolati senza problemi) è risultato ancora una volta fastidioso.

Vedere tanti studenti mescolati, sorridenti, chiassosi e con i libri in mano è stato quasi come entrare in un'altra dimensione. Anche perché l'ambiente è pulito, ordinato e ci sono alberi e aiuole d'erba (erba!! fili d'erba!!! non ne vedevo da mesi!). Gli studenti ci guardavano -qualche volta di "straocio"- come parte del loro mondo e non più come turisti da spennare. E quest'ultimo particolare, dopo due mesi che siamo qui, comincia a diventare fastidioso e ormai insopportabile.

Insomma: abbiamo seguito una lezione di Raimondi (ex presidente della ong italiana VIS, che coopera con l'università di Betlemme) con gli studenti del 2° anno. Che in realtà erano tutti professori... E, nel pomeriggio, siamo passati a sentire Challand con gli studenti del 1° anno. Per loro è stato bello avere lì degli studenti di Pavia, ci hanno anche scherzato sopra. Ai palestinesi, invece, non gliene è fregato per niente. Vabbé...

Raimondi ha dato una versione particolare della situazione palestinese. Secondo lui i palestinesi sono ridotti malissimo su tutti i fronti, cominciando dalla loro visibile radicalizzazione religiosa. "A Betlemme, nel '91, non si vedeva neanche una donna col velo. Ma neanche una sul serio. Ora potete vedere voi stessi com'è".
Secondo lui, il cambiamento è inziato dopo gli Accordi di Oslo e la vera e propria svolta si è avuta con la Seconda Intifada. Persa ogni speranza politica -come scrissi anch'io- ci si è buttati sulla religione. I cristiani di Betlemme, che erano circa la metà della popolazione di qui, ora sono ridotti al 30% circa (ma qui la colpa è soprattutto del Muro e della distruzione che questo ha portato nei legami con la diocesi di Gerusalemme).

L'interpretazione è che potevano essere la "Svizzera del Medioriente": i Palestinesi avevano tutte le carte in regola per diventare un paese moderno e fare da ponte fra Israele e i suoi vicini ma anche per modernizzare i paesi arabi. Ma sono stati bistrattati da tutti, cominciando dai Paesi Occidentali e continuando per i Paesi Arabi. Senza mai dimenticare Israele, ovvio.
Ora non c'è quasi più nulla da fare, solo evitare che si peggiori. Triste, no?

Su Gaza? Beh... Boh. Almeno ora a Gaza c'è una cosa che qui in Cisgiordania non esiste: l'ordine. Come preannunciato, ora Hamas sta regolando i conti con l'ultimo clan affiliato a Fatah (e che controlla alcuni traffici illegali). Una volta smantellato anche quest'ultimo, Hamas avrà il pieno controllo della situazione. O quasi, visto che c'è il totale isolamento imposto da Israele.
Hamas non è certo l'esempio da seguire né la miglior soluzione. Però, a quanto pare, è molto più affidabile di Fatah e molto ma moooolto meno corrotto. Chissà che si trasformi un pochettino e diventi anche un pelo più aperto di mentalità... Dura xe...

Vabbé. Cambio argomento. E vado all'attacco spietato di alcuni internazionali. Che fanno tanto i rivoluzionari e tanto i fighi. Una cosa che accomuna alcune persone che ho conosciuto è la loro arroganza: pieni di sé e con la puzza sotto il naso. Cagoni. "Io di qua, io di là", sempre "io". Ma intanto i soldini per giocare alla rivoluzione ce li avete, no? Credo che questa gente non abbia mai chiesto ai Palestinesi se vogliono anche loro giocare alla rivoluzione: forse hanno di meglio da fare. Tipo sopravvivere.

Lo dico con franchezza. Sono dei figli di papà e basta. Snob, borghesi. A riempirsi la bocca di "rivoluzione", per poi quasi sicuramente diventare in età matura come tanti di quei sessantottini traditori: borghesi, reazionari, conservatori. Ora tanto duri e puri: voglio vedere fra qualche anno. Chissà se vi è mai venuto (e se mai vi verrà) un callo su una mano. Voi che parlate tanto degli operai in fabbrica. Che infatti ora votano tutti Lega Nord.

Mi chiedo se abbia un senso andare a rompere le scatole ai soldati israeliani. Per cosa? per far vedere che sei figo, che sei alternativo, che sei ribelle? Ma lo sai che quando te ne andrai le mazzate se le prenderanno i palestinesi? Sì, proprio quelli che dici di difendere. Mica te con i tuoi vestiti da alternativo, che ti sono costati un sacco di soldi.

E lo sai che i soldati, quelli dei checkpoint, sono tutti soldati di leva che sono obbligati a fare quello che fanno? E che molte volte non vorrebbero ma le alternative per loro sono poche? E che sono sottoposti a mille pressioni da una parte e dall'altra e prima o poi è ovvio che cedono e iniziano a diventare stronzi (sempre che non lo fossero anche prima)? E che se tu gli rompi le palle è ovvio che poi te la fanno pagare?


Sono acido. Acidissimo. Ne sono consapevole.
Boh. Le pressioni psicologiche di questi due mesi e soprattutto delle ultime settimane mi hanno provocato un ennesimo spostamento d'umore, come si può ben vedere. Ora sono decisamente sintonizzato sull'insofferenza estrema. Su tutto.

Se prima stavo da una parte e condannavo l'altra, ora lo faccio ugualmente ma con molta più attenzione. Fatta salva la premessa innegabile che vede l'origine di questo problema nell'occupazione sionista delle terre su cui abitavano i palestinesi, mi sono reso conto di aver idealizzato troppo entrambe le parti in conflitto. E di non essere stato onesto con me stesso e nemmeno con chi mi legge.

Non è vero che i palestinesi sono laici. Non lo è nessuno in questa regione del mondo e se loro lo sono stati fino a poco tempo fa, ora questa è una caratteristica che stanno perdendo. Musulmani e cristiani, tutti. In Israele, poi, lasciamo perdere che è lo stesso (e idem per altre cose che sto per scrivere). Ma almeno qualche "isola" esiste.

Le donne avevano un posto più decente nella società. Mi sto rendendo conto di quanto questa situazione stia volgendo al peggio: i delitti d'onore sono frequenti e i matrimoni combinati sono una regola. Almeno è stata imposta qualche regola: ad esempio non ci si può più sposare fra cugini -cosa che prima era normalissima- ed è vietato contrarre matrimonio sotto una certa età. Tuttavia l'essenza principale del matrimonio praticamente non esiste: credo siano rari i casi di gente che si sposa per amore.

Non è vero che i palestinesi non odiano gli israeliani. Certo che li odiano. E mi chiedo se non sia una cosa naturale. Il problema è che l'occupazione accresce l'odio. Fortunatamente non girano molte armi e in qualche modo è anche vero che il Muro ha ridotto drasticamente a zero gli attentati. Ma a quale prezzo... (E a pagarlo sono e saranno solo i palestinesi).

E' vero che i palestinesi sono molto ospitali ma è altrettanto vero che è difficile dialogarci. Lo scontro fra culture a volte è proprio evidente. L'orgoglio degli arabi è enorme: credono di avere inventato tutto e di avere scoperto tutto. Che è vero. Però cullarsi in eterno sugli allori guadagnati mille anni fa non è granché positivo, no? Cito un caso estremo e ripeto: estremo. E quindi significa che non rappresenta il pensiero di tutti (ma in qualche modo aleggia). Ne avevo già parlato ma lo rinfresco perché da quel giorno mi assilla.

Quando ero andato a Jenin per assistere all'incontro con gli sheikh -autorità religiose, pari ai nostri preti- sui rapporti tra Islam e altre religioni, molti dei presenti tirarono fuori Salah-ed-Din. Ovvero Saladino. Cosa fece Saladino? Riconquistò e amministrò la Palestina al tempo dei Crociati. Ecco, il problema è proprio questo: come diavolo si fa a prendere come riferimento politico per i giorni nostri un tizio che visse 800 anni fa? Da noi lo fa solo la Lega (e persino sbagliando a interpretare).
Un'altra cosa che venne fuori sempre in quell'incontro, è che i musulmani praticanti sono convinti della perfezione del Corano. Che io non metto in discussione come non metto in discussione nemmeno il suo messaggio di pace e la sua sacralità. Ma è mai possibile pensare seriamente che TUTTA la conoscenza del mondo sia scritta proprio nel Corano? Io della Bibbia non lo penso affatto.
Alcuni, per strada, mi dicono: "Voi in occidente ora avete questa moda di rispettare gli animali. Nel Corano c'era già scritto. E c'era già scritto che si sarebbe scoperta l'America. E c'era scritto che...". Insomma, tutto. E allora la mia piccola provocazione (che voglio sia costruttiva) è: cari miei, ammettiamo che sia tutto vero. E allora perché i paesi arabi sono così arretrati? O avete interpretato male il Corano o non l'avete applicato affatto oppure l'avete applicato ma malissimo. Per cui se c'è tutto scritto (compreso il femminismo, la democrazia, ecc. e io credo sia vero) vedete di darvi una mossa...

Altra cosa sull'orgoglio arabo è che loro sono convinti, come dicevo, di aver portato tutta la cultura al mondo. E intendiamoci: in gran parte è vero. Quando in Europa si moriva di peste bubbonica, si bruciavano le streghe e si viveva nella superstizione e nell'ignoranza totale, gli Arabi erano avanti anni luce in tutti i campi. Tutti. E se l'Europa poi si riprese è stato anche grazie a loro. E non li abbiamo mai ringraziati a sufficienza.
Ma da qui a dire che gli arabi non hanno mai conquistato nessun popolo mi sembra che si esageri un tantino, no? "Gli arabi non hanno mai conquistato, loro mettevano al servizio degli altri popoli la propria conoscenza. Anche gli spagnoli chiamarono gli arabi e chiesero loro di andare lì ad amministrare il loro paese". Mah... Negare le conquiste arabe è un errore palese. Adottando lo stesso metro di giudizio, allora, si potrebbe dire provocatoriamente che nemmeno i sionisti hanno conquistato la Palestina ma hanno solo messo al servizio degli arabi la loro conoscenza.

A parte questo, le altre cose che proprio mi fanno infuriare ogni giorno sono altre. Forse non così "importanti" ma dipende dai punti di vista. E sono:
- il modo criminale e assassino con cui i palestinesi guidano per strada. Non c'è un secondo in cui non si sentano sgommate, inchiodate, clacson, accelerazioni folli e non si vedano incidenti evitati per un soffio, pedoni non travolti solo per miracolo (forse li compie la "Terra Santa"), curve prese come se si stesse giocando ad un videogame, sorpassi fatti sfidando tutte le leggi della fisica, incroci affollati e intasati perché la precedenza è un concetto che a scuola guida forse non si insegna e via dicendo.
-la sporcizia assurda che c'è in giro. Credo ci sia in corso un serio rischio ambientale. La sola differenza con Napoli è che lì era tutto concentrato in una zona, qui è tutto sparso in maniera omogenea su tutto il territorio. Ma i rifiuti si buttano ovunque e si eliminano bruciandoli. E le città sono in condizioni penose. Chissà, forse qualche cosa si sta muovendo: due giorni fa gli studenti dell'università di Betlemme hanno bloccato le lezioni per dedicare un'intera giornata alle pulizie e alla raccolta di cartacce e rifiuti vari tutto intorno. Stessa cosa l'hanno fatta gli scout (grandi!!!) vicino alla chiesa della Natività.
-il maltrattamento degli animali. In due mesi sono riuscito soltanto una volta ad avvicinare un cane e ad accarezzarlo. Ogni volta che vedo un cane e un gatto, se sono a meno di 20 metri di distanza, questi scappano impauriti. E ogni notte sento cani che guaiscono e si lamentano. Per me che sono cinofilo, è un'agonia...

Insomma. I problemi sono tantissimi, infiniti. Ci aggiungo una cosa che sto notanto sempre più e che mi ha sopreso: la quasi totale mancanza di solidarietà fra palestinesi. I cristiani -che hanno il concetto di "carità" -se la cavano meglio ma anche perché sono molto (e vistosamente) più ricchi, e nei momenti di difficoltà le parrocchie riescono a redistribuire abbastanza la ricchezza. Questo quasi non esiste con i musulmani: e sì che credevo che l'elemosina fosse uno dei 5 pilastri dell'Islam. Una conferma alla mia teoria a grandi linee: è vero che le cose ci sono scritte nell'islam, ma se nessuno le applica è inutile vantarsene.

Tutto questo sfogo non vuole essere solo una rozza provocazione, fine a sé stessa. Voglio anche liberarmi (o cercare di farlo) di quella tendenza paternalistica che c'è sempre in chi si impegna politicamente o cristianamente a favore dei più svantaggiati. Provare compassione, pietà e dire "Oh poverino, aiutiamolo" è una CAGATA PAZZESCA. Che in Italia abbiamo conosciuto col nome di "assistenzialismo".

Comincio a capire che se vogliamo veramente "risolvere i problemi", dobbiamo prima di tutto levarci gli occhiali dell'idealismo. L'idealismo fa bene all'anima ma se lo applichiamo al mondo non facciamo altro che vederlo totalmente distorto. Il rischio è di distorcerlo sul serio.
Quindi: un bell'esame di coscienza, una bella pulizia fatta con divizia e forte autocritica. E poi capire se stiamo facendo qualche cosa di utile e a chi. A noi o a loro? Stiamo "aiutando" o creando più danni di quanti ne pretendiamo di risolvere?

La Palestina mi sta facendo rendere conto proprio di questo. Con l'assistenzialismo abbiamo rovinato i Palestinesi. Li abbiamo fatti cadere nella doppia trappola dell'occupazione e del suo mantenimento, attraverso uno sistema perenne che li imbocca come bambini deficienti. E non lo sono, cazzo.
I loro problemi non vengono solo da Israele: non è solo Israele la colpa di tutto (è la principale, senza dubbio). Ci sono anche i nostri governi. E ci siamo anche noi, società civile. Che continuiamo a dire "oh poverini". Col cavolo: perché non cominciamo a dire loro anche che fanno un sacco di cazzate? perché non la smettiamo di giustificarli sempre? perché non insistiamo affinché la smettano di puntare il dito contro Israele -che tanto non cambierà- e si diano una mossa per vedere che cosa riescono a fare con le loro poche risorse rimaste ed energie?

Mi sto convincendo che l'unico modo per aiutare i palestinesi -oltre a condannare i crimini dell'occupazione- è sostenere i progetti locali di educazione che mirano a migliorare la società senza però imporre la solita visione occidentale. E per farlo bisogna cominciare dai bambini.
Nonviolenza, creatività, impegno civile, solidarietà, studio, rispetto delle regole e del bene comune, cura dell'ambiente...
Insomma: uno sforzo per migliorare sé stessi. E anche questo concetto c'è nell'Islam e si chiama "Jihad".


Sì, forse gli arabi dovrebbero rileggersi ben bene il Corano... E aprirsi un po' di più, introducendo un po' di sana e buona AUTOCRITICA alla loro vita quotidiana.
Il problema, ora, è: ma come cavolo glielo spiego? E soprattutto senza mai più toccare argomenti religiosi, ai quali sto diventando sempre più insofferente? (non voglio più sentire NESSUNO, di NESSUNA RELIGIONE, dirmi che una tal azione deve essere fatta perché lo vuole Dio: gliel'avete mai chiesto a Dio se è vero? e vi ha mai risposto? Non penso proprio).


Mentre ci penso (anche al fatto che voglio vivere in un paese che veramente sia laico al 100%) meglio sgomberare un po' la mente. E quindi: serata con gli amici, birre (varie) e partite a Scala 40 parlando soltanto di cazzate...





18 settembre 2008

Muri e limiti invisibili


Questa e' la foto che avevo promesso. Sembra divertente, in realta' nascondiamo (soprattutto Massimo e io) un po' di frustrazione, impotenza e rabbia. Io, infatti, ho preso a testate il pannello di plexiglass...
I muri, i limiti invisibili ma reali che ti impediscono di muoverti e vivere liberamente sono i piu' rognosi e difficili da combattere e tirare giu'. E anche i piu' difficili da capire e da far capire.

16 settembre 2008

Foto

In questi giorni ho scritto troppo. Ora metto qualche foto, fresca fresca. Enjoy! Io intanto mi godo un bel bicchiere di arak palestinese (in Francia lo chiamano pastis e in Grecia ouzo)...


un cartello trilingue


uno dei tantissimi cartelli dei progetti (forse troppi e poco efficaci
e spesso inutili)
di cooperazione internazionale in Palestina

La campagna palestinese: ulivi, rocce, muretti a secco,
resti di vecchie abitazioni, cespugli, terrazzamenti...


check point all'ingresso di Beit Jala. L'edificio sulla destra è
una caserma israeliana. Siamo in pienissima West Bank.


Strada israeliana con, sullo sfondo, colonia israeliana. Sulla sinistra
si vede una strada palestinese interrotta da Israele. La strada è israeliana nel senso che la
possono usare solo gli israeliani, nonostante corra nei Territori Palestinesi.


i preziosi collaboratori che non ho mai ringraziato finora e che sopportano le mie
lunghe camminate
(i sandali della Geox, invece, mi hanno deluso abbastanza...)

esperienze di alcolismo in Palestina. Manca, però, la birra Taybeh. Il mese prossimo, però, la Taybeh
organizza l'Oktoberfest. Vi manderò la mia testimonianza accurata. Se me la ricorderò...


casa di sostenitori di Fatah (il giallo è il colore del partito. Quello di Hamas è il
verde, mentre i simpatizzanti di sinistra ovviamente usano il rosso)


Ah. Piccola prova di quanto siano amati i latinoamericani in Palestina.
Questo è un negozio di giocattoli alle porte del campo profughi di Deheishe.
Il nome è quello del negozio...


tramonto dal mio terrazzo.
Bella vista sull'insediamento di Har Gill'o..


I miei tentativi di imparare l'arabo
(sto riempiendo la casa con foglietti e disegnini... )

p.s.: grazie dei commenti! E grazie anche ai "fedelissimi" (fra tutti Andrea, Nicola e Matteo anche se so che non sono gli unici)! Però, mi raccomando: se vedete che calco troppo la mano, avvisatemi! In questa situazione è facile perdere la freddezza. Io, poi, sono arrivato qui già scongelato...

Ride bene...

... chi ride ultimo.

Leggendo sui giornali argentini, scopro che il gigante statunitense "Lehman Brothers" che e' appena fallito miseramente, ha sempre criticato il mio paese. Negli ultimi mesi, addirittura, si era accanito crudelmente contro l'Argentina e la sua "irresponsabile" politica economica, facendo lievitare i dubbi internazionali sulla reale situazione dell'economia. Chissa', probabilmente tentavano di speculare mandandoci nuovamente in crisi. Invece di guardare in casa loro...
Cari capitalisti yankee, stavolta vi e' andata male... chi troppo vuole nulla stringe. E adesso rido io perche', sempre usando i detti popolari, "una risata vi seppellira'"...

Militari 2

Ho trovato questo interessantissimo articolo su Il Manifesto di domenica.
Ecco cosa succede ai militari israeliani che si pentono...



Rompere IL SILENZIO A HEBRON - IL SOLDATO CHE SI STANCÒ DI UCCIDERE

Tra insulti e aggressioni, visita alla città fantasma della Cisgiordania insieme a Yehuda Shaul, ebreo ortodosso, sergente dell'esercito israeliano oggi riservista, che ha denunciato le violenze di coloni e militari contro gli abitanti palestinesi e nel 2004 ha fondato «Breaking the Silence»

Michele Giorgio

HEBRON
«Ero a Hebron da paio di giorni, nel 2002, la situazione era tesa, c'erano stati parecchi morti in quel periodo, anche tra coloni e soldati israeliani, e il comandante della nostra unità mi convocò in una scuola palestinese che l'esercito aveva trasformato in una postazione di tiro». Il sergente Yehuda Shaul, ora riservista, racconta la sua vicenda nel silenzio totale di Shuhada Street, nella zona H2 di Hebron sempre più una città fantasma. «Il comandante mi guardò per qualche secondo - prosegue il militare - poi mi disse: ho saputo che sei bravo ad usare il lanciagranate. Ecco, di fronte a te c'è il quartiere di Abu Sneineh da dove sparano i cecchini palestinesi contro le nostre case (dei coloni). Ogni volta che apriranno il fuoco tu dovrai rispondere lanciando granate. Pensai che era folle prendere di mira abitazioni civili palestinesi, perché queste armi sono micidiali, lanciano 5-6 granate al minuto e uccidono o feriscono ogni essere umano nel raggio di otto metri. Ma lo feci, e divenne routine, una specie di video-game, e qualche settimana dopo rispettai anche l'ordine di aprire il fuoco a scopo preventivo, ovvero senza aspettare che a sparare fossero prima i palestinesi». Eppure fu proprio l'obbedire senza fiatare agli ordini, anche quando a pagare con la vita erano civili, che cominciò a scuotere la coscienza di Yehuda Shaul, 26 anni, divenuto nel 2004 il fondatore di «Breaking the Silence», una associazione di soldati israeliani che avevano prestato servizio a Hebron e che decisero di «rompere il silenzio» raccontando crimini e violenze compiuti dai coloni ma anche dai militari a danno degli abitanti palestinesi. Oggi «Breaking the Silence» organizza conferenze e tour, pubblica libri e dvd con testimonianze di soldati - purtroppo in gran parte anonime - raccolte ovunque nei Territori occupati e che confermano la brutalità dell'occupazione militare cominciata nel 1967. Yehuda Shaul non è un attivista di sinistra, si definisce «un laburista», e le sue origini sono tutte sul versante opposto dello schieramento politico. E' un ebreo ortodosso, osserva rigorosamente lo shabat e il kashrut e porta la kippa. «La mia famiglia è di destra, mia sorella vive in una colonia, a Gush Etzion, e hanno accolto con sdegno la mia decisione di raccontare tutto. Alcuni dei miei familiari e dei vecchi amici non mi rivolgono più la parola. Ma io non torno indietro - spiega l'ex militare - non si può continuare a nascondere la verità, a tenere segreti abusi e violenze sistematiche contro i civili palestinesi. Ad Hebron ne ho viste troppe e noi soldati non facevamo o non potevano fare nulla per impedire questi crimini perché solo la polizia è autorizzata a trattare con i coloni. I nostri comandanti ci dicevano soltanto di vietare ai palestinesi di transitare in certe strade, di farli sparire dalla circolazione, con le buone e con le cattive, in modo da evitare frizioni con i coloni ebrei. Una volta dei coloni aggredirono a freddo, davanti ai miei occhi, una donna palestinese che tornava dal mercato per punirla, dissero, per il massacro del 1929 (il 23 agosto di quell'anno, in seguito all'uccisione di due palestinesi in apparenza da parte di ebrei, in tutta la Palestina esplosero gravi incidenti. A Hebron i palestinesi uccisero 67 membri della piccola comunità ebraica che viveva nella città, i sopravvissuti vennero evacuati dopo alcuni giorni, ndr).» Divisa nel 1997 in due zone - H1 e H2 -, per un accordo sottoscritto da Israele e Anp, Hebron oggi è una città tenuta in scacco dai coloni, circa 500, giunti dopo l'occupazione della Cisgiordania nel 1967. Nella zona H2, sotto il controllo militare israeliano, quella dove è situato l'importante sito religioso della Tomba dei Patriarchi, sacro ad ebrei e musulmani, oltre ai coloni risiedono circa 30mila palestinesi. Senza protezione, soggetti ad abusi quotidiani, circa un terzo degli abitanti palestinesi ha lasciato la zona H2. Tutti gli altri cercano di farsi vedere il meno possibile in giro. La cashab è deserta, i negozi sono in buona parte chiusi (tra 600 ed 800 esercizi commerciali arabi sono stati costretti a tenere abbassate le saracinesche dopo il 2000), in Shuhada Street, la via principale della zona H2 ormai si vedono solo coloni, soldati e poliziotti. Siamo diretti a casa di Hani Abu Heikal, un palestinese amico di Yehuda Shaul, che di fatto vive prigioniero a casa sua perché adiacente alla piccola colonia di Tel Rumeida. Lungo la strada Shaul è come un fiume in piena che ha rotto gli argini, vorrebbe raccontarci le «mille storie» che ha vissuto o sentito. Ma le sue parole vengono interrotte dall' arrivo improvviso di un colono, Ofer Ohana, come lui stesso ci dice presentandosi qualche secondo dopo. Shaul è odiato e disprezzato dai coloni israeliani, lo considerano un traditore, uno che si è «venduto al nemico», agli arabi. Ohana non è aggressivo, piuttosto vuole farsi beffe del soldato che ha rotto il silenzio. «Yehuda, Yehudili, Yehudel, guarda qui, guarda qui. Hai telefonato al tassista, il tuo amichetto arabo Hisham per dirgli di tenersi pronto a fuggire?», ripete ossessivamente il colono tenendo la sua telecamera a non più di 3-4 centrimetri dal volto di Shaul. Poi improvvisamente riceve una telefonata e si allontana. L'ex soldato riprende il suo racconto ma la calma dura poco. Dopo meno di un minuto, all'inizio di Shuhada Street, giungono altri tre coloni. Tra questi, due sono noti come i principali esponenti dell'estremismo di destra che domina in molte colonie ebraiche in Cisgiordania: Baruch Marzel e Itamar Ben Gvir (entrambi hanno firmato qualche giorno fa un «patto» di resistenza contro qualsiasi evacuazione di insediamenti colonici nei Territori occupati). Il primo si disinteressa di Shaul e, con tono di voce calmo e monotono, ci esorta a non ascoltare «quelle bugie». Yehuda Shaul, ripete Marzel, «è un malato di mente, tutta la sua famiglia ha grossi problemi, sua sorella dice di essere religiosa ma è una poco di buono. Sappiamo tutto di loro. Shaul lavora per conto dell' Unione europea, sì lo pagano gli europei per costruire le sue accuse contro gli ebrei», insiste monocorde il colono, mentre a distanza di un paio di metri Ben Gvir spara raffiche di offese infamanti contro Shaul. Proseguiamo lungo via Shuhada Street. L'atmosfera è tesa ma ancora calma, i coloni, diventati nel frattempo una dozzina, ci seguono assicurando che «tutto è a posto», ma, all'improvviso, nei pressi di Bab Zawiyeh, al transito per la zona H1, Ben Gvir, ben riconoscibile per la sua camicia color giallo, sferra un calcio alla gamba destra di Shaul che accusa il colpo ma prosegue senza fiatare, per evitare il peggio. Poi comincia la gara di coraggio di bambini e ragazzi, tra i 10 e 12 anni, contro il «traditore». Un paio riescono a raggiungerlo con calci e sassi. Giunge finalmente la polizia ma a finire sotto accusa è proprio Shaul. «Basta, sei in arresto, tutte le volte che vieni qui esplode un casino», urla un agente tra gli sguardi soddisfatti dei coloni. Saliamo assieme all'ex militare a bordo della jeep della polizia che ci porta alla Tomba dei Patriarchi. Ci viene intimato di lasciare subito la città, Shaul però non demorde. «Voglio andare a far visita al mio amico (palestinese), e ci andrò a qualsiasi costo», ripete ai poliziotti che, stanchi della discussione, ci ordinano di rientrare nella jeep e ci portano a tutta velocità a casa di Hani Abu Heikal. Il sistema di comunicazione interna dei coloni si dimostra ancora una volta molto rapido. All'ingresso dell'abitazione ci attendono Ben Gvir e Ohana per scaricare addosso al «traditore» altre decine di parole irripetibili. La tensione di Shaul si scioglie a casa di Abu Heikal. Quelli che un tempo erano i suoi nemici, contro i quali lanciava granate, oggi lo accolgono con un sorriso e una stretta di mano. «Ahlan wa sahlan, benvenuto Yehuda, entra, accomodati», dice Abu Heikal. «Ramadan karim", replica Shaul mostrando rispetto per il mese sacro islamico. «La nostra esistenza è un inferno - riferisce Abu Heikal, «tutte le volte che esco o torno a casa devo superare quattro posti di blocco militari mentre i coloni si muovono liberamente». Il suo resoconto è un triste elenco di vessazioni continue. «I coloni fanno di tutto per costringermi a lasciare casa: hanno dato fuoco più volte alla mia auto, ai miei alberi d'olivo. Ho filmato alcune di queste azioni con la telecamera che mi ha dato "Betselem" (un centro per diritti umani israeliano, ndr) e le immagini spesso mostrano i volti dei responsabili degli attacchi. Ho consegnato tutto alla polizia (israeliana) ma sino ad oggi non e' accaduto nulla, i coloni continuano a fare ciò che vogliono», prosegue Abu Heikal, che ci saluta con una promessa: «non andrò via, resterò qui». Torniamo a piedi verso la Tomba dei Patriarchi, Shuhada Street è vuota. Regna il silenzio, il silenzio che Yehuda Shaul ha deciso di rompere.

Bolivia


Ciò che sta succedendo in Bolvia è molto pericoloso per la stabilità latinoamericana e pertanto i capi di stato dei paesi membri dell'Unasur (Unione degli Stati del Sud America) ieri a Santiago del Cile si sono riuniti e hanno emesso un comunicato di forte appoggio al presidente boliviano, Evo Morales, che poche settimane fa è stato pure confermato nel suo incarico da un inedito referendum in cui ha ottenuto oltre il 67% dei consensi. Hanno detto, inoltre, che non permetteranno una modifica dei confini nazionali (e, quindi, ostacoleranno qualsiasi tentativo di secessione e di minaccia all'integrità della Bolivia).

Tutta l'America Latina sa che dietro a queste violenze razziste e classiste ci sono gli Stati Uniti. Non è un sospetto: è una certezza. Eppure in Europa si dice solo che il "cocalero" Morales e quel "tiranno" di Chávez, in un impeto di cieco populismo e per debolezza politica, hanno pensato di espellere i poveri e innocenti ambasciatori "americani" (ma lo volete capire che l'America è un continente e non uno stato?).

La stampa italiana (come sempre incompetente sull'America Latina, di cui non capisce veramente una mazza, spesso volutamente) ha parlato di "scontri" fra fazioni opposte in questi giorni in Bolivia. Falso: si è trattato (e si tratta) di violenza razzista e classista, di ricchi armati contro contadini inermi. Questi non sono scontri. Se ti pestano per strada solo perche' non sei bianco, non sono scontri: è violenza razzista. Se cerchi di far di tutto per rovesciare un presidente eletto democraticamente con una maggioranza enorme, solo perché è un "indio de mierda", quelli non sono scontri: è violenza razzista e classista.

Riporto un articolo che fa chiarezza su quanto sta avvenendo in queste ore in Bolivia.

E da questo blog, per quel poco che può servire, continuo a dire:


¡VIVA EVO MORALES!


Bolivia: la strage di Pando come Portella della Ginestra.
L’odio dei ricchi contro i poveri

“Quando a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli dei poveri“
Pierpaolo Pasolini


Li abbiamo visti tutti i soldatini boliviani inermi, facce da adolescenti indigeni massacrati di botte dai giovani bianchi o sbiancati, creoli o che si sentono creoli o che credono che con quei calci, quegli sputi, quell’odio diventeranno creoli. Li abbiamo visti i soldatini boliviani scappare via nelle strade di Santa Cruz o di Trinidad.
Quei ragazzi contadini dell’altipiano, soldatini di leva microscopici con quelle divise sempre troppo grandi. Avevano le lacrime in faccia impastate nel loro sangue e nel fango degli stivali di chi li ha umiliati. Nei loro occhi più che l’odio c’era il terrore. Il terrore di chi ancora una volta si vede sopraffatto. Il terrore di chi viene bastonato da 500 anni ogni volta che tenta di alzare la testa e teme che anche questa volta finirà nella stessa maniera.


di Gennaro Carotenuto


Ma abbiamo guardato in faccia anche questi giovani di classe media manovrati da quelli di classe alta. Aizzati all’odio con tutti gli argomenti più indegni, il razzismo aperto del “mai accetteremo un indio presidente”, la demagogia più bieca e l’organizzazione della violenza, il paramilitarismo di organizzazioni neofasciste come la UJC, che rende complici giorno per giorno. Chi scrive si pregia di non usare mai il termine fascismo a sproposito. Ma nelle azioni di queste bande sempre meno spontanee e sempre più paramilitari, non si può non vedere lo squadrismo del fascismo movimento, quella cooptazione della classe media da parte delle élite per usarle contro quella proletaria. E’ il partito dell’ordine dove l’ordine è quello classista, non quello democratico, che fu alla base del primo affermarsi dell’ideologia fascista ben prima di farsi regime.
E allora li abbiamo riconosciuti guardandoli in faccia, armati di bastoni, di armi da fuoco, perfino di fruste, sopraffare spavaldamente i soldati venuti a fermarli, riempirli di calci e sputi e poi avventarsi sui contadini, senza più freni né inibizioni fino a prendersela violentemente perfino con le cholas, le donne indigene che per tutta la vita li hanno accuditi, serviti. E’ umanamente impossibile capire come possano odiarle tanto. Eppure le odiano o forse le stanno vessando solo in una maniera diversa da come le hanno vessate per tutta la vita.
Li abbiamo visti dare l’assalto in maniera ogni giorno più sistematica a qualunque simbolo dello Stato e della convivenza civile, stazioni, aeroporti, scuole, ma soprattutto ai mercati dove gli indigeni offrono il loro lavoro. E’ oramai una guerra aperta dove lo Stato, la legalità, la democrazia semplicemente sono inermi di fronte all’odio di classe, all’odio razziale coniugato con la forza, all’odio incendiato con i soldi, tanti soldi, all’odio rafforzato dall’impunità, all’odio con alle spalle l’impero. Se lo Stato è nostro, viva lo Stato, ma se lo Stato pretende di farsi democratico e rappresentare tutti i boliviani, allora odiamo lo Stato e lo distruggiamo.
Dopo decine di azioni terroristiche selvagge (e noi conosciamo solo la violenza urbana, quello che succede nei latifondi dove l’indigeno è ancora schiavo lo ignoriamo) da Santa Cruz a Beni a Tarija (i dipartimenti epicentro del secessionismo) a Pando c’è stata dunque la prima strage come dio comanda. La prima verità di comodo parlava di scontri tra opposte fazioni, ma era una menzogna per evitare di dire chi ha torto e chi ha ragione, chi massacra e chi è massacrato in Bolivia. Ma non ci sono stati scontri a Cobija.
Sembra di raccontare Portella della Ginestra. Paramilitari e sicari, un vero squadrone della morte, hanno aperto il fuoco con le loro armi automatiche su di una manifestazione pacifica di contadini disarmati. Oramai non sono più né otto né quindici, ma si parla di almeno trenta morti ammazzati. E il mandante è il prefetto, il governatore Leopoldo Fernández, sinistro e non pentito collaboratore di due dittatori, torturatore e violatore di diritti umani. Il massacro, pensato a sangue freddo è funzionale al disegno. Vuole provocare la reazione dello Stato e del popolo per far passare da vittime i carnefici, con la complicità dei media, e vuole instaurare il terrore nella regione. Potrebbe essere il punto di non ritorno.
Venitemi a prendere adesso, provoca il mandante della strage, sapendo che lo stato di diritto è un simulacro in un dipartimento dove, dopo la strage, la proclamazione dello stato d’assedio si è rivelata inapplicabile. Come a Portella della Ginestra, mafiosi, latifondisti e l’impero alle loro spalle stanno già costruendo l’impunità.
Spaventato, massacrato, il popolo chiede armi, come in Spagna nel ‘36 e in Cile nel ‘73. Vuole difendersi e difendere la democrazia boliviana. E qui sta la grandezza di Evo Morales, la sua taglia di grande statista che sta emergendo ogni ora di più. Nonostante tutto, nonostante l’odio, gli insulti, le calunnie, continua incessantemente a chiamare al dialogo, a tendere la mano, continua a credere nelle regole della civiltà aymara alla quale appartiene, nella disciplina di uno che ha fatto il sindacalista per tutta la vita, nelle regole della democrazia e dello stato diritto, che si attagliano più a lui che ai presunti liberaldemocratici suoi oppositori spalleggiati dal governo degli Stati Uniti.
Forse sbaglia Evo, sicuramente non può fidarsi di quei quattro banditi che sono i prefetti dell’opposizione, ma non può prestare il fianco al nemico rispondendo con la forza e dando il via a una vera dichiarata guerra civile. Evo sa che si è arrivati a questo punto, con l’opposizione schiacciata sul suo stesso estremismo più folle e più violento perché ogni giorno lui, Evo Morales è più popolare, più saldo, più convinto di stare cambiando davvero la Bolivia. E il popolo lo appoggia come ha testimoniato il 10 agosto confermandolo Presidente con il 67.4% dei voti. Sono loro, l’opposizione, ad aver bisogno della violenza, ad aver bisogno di incendiare il paese in un mare d’odio. Sono loro ad avere la forza ma non la ragione.

15 settembre 2008

Militari


Vengo da un Paese la cui storia è macchiata di sangue per colpa dei militari.
L'esercito argentino, dopo l'indipendenza dalla Spagna, ha continuato per decenni una lunga serie di guerre fratricide sia contro gli stati vicini sia contro i propri cittadini.
Fra le vittime: i gauchos federali; tutta la popolazione nera mandata a morire nella guerra contro il Paraguay (l'Argentina è l'unico paese latinoamericano a non avere più abitanti di origini africane); i popoli indigeni soprattutto della Pampa e della Patagonia (ma neanche gli altri sono stati trattati troppo bene); gli operai, i sindacalisti, gli studenti, i giornalisti, gli oppositori dagli anni '20, quando in teoria eravamo già una democrazia, in poi.
14 colpi di stato militari in 80 anni. Mica roba da poco.

L'unica guerra che i tronfi militari argentini dovevano vincere, l'hanno persa miseramente. Si trattava di legittimi diritti di sovranità territoriale, quelli sulle isole Malvinas (che gli europei si ostinano a voler chiamare col loro nome colonialista ovvero falklands) riconosciuti persino all'ONU. Ovvio che non appoggio l'uso della forza per risolvere conflitti internazionali (in quel caso si usò una legittima rivendicazione per una campagna propagandistica meschina). Tanto più che i generali alcolizzati mandarono i giovani e inesperti soldati di leva del nord equatoriale a morire sgozzati dai mercenari ingaggiati dagli inglesi.
Tiranni, repressori, assassini e persino vigliacchi.

Tutto questo per dire cosa? Che la retorica militarista va combattuta con energia perché storicamente non porta a null'altro che alla catastrofe. E le società militarizzate sono estremamente pericolose, soprattutto se appartengono a stati armati fino ai denti.

Con questo post -visto che ne avevo parlato poco tempo fa- voglio far conoscere il problema di un'associazione israeliana di obiettori di coscienza. Obiettori che rischiano molto, moltissimo proprio perché Israele è uno stato estremamente militarizzato e armato fino ai denti e anche di più.

Si chiama New Profile e molto probabilmente subirà un processo penale.
Poiché gli obiettori israeliani sono voci zittite e perseguitate nel loro paese, perché hanno deciso di opporsi alla logica distruttrice del militarismo, e poiché togliendo loro la voce si toglie spazio anche alla speranza di una vera sincera e duratura pace in Medio Oriente, credo sia giusto almeno far sapere che ci sono. Che non se la passano per niente bene. Che hanno bisogno del nostro appoggio.

"Beati i costruttori di pace" disse Gesù, no? Ecco. Cerchiamo di fare in modo che siano beati anche qui sulla terra e non solo nel regno dei cieli...


P.s.: se siete d'accordo con quanto scritto sopra, spero converrete sul fatto che anche il movimento vicentino "No Dal Molin" debba essere appoggiato e difeso. Il militarismo italiano puzza sempre di più e il problema serio è che nonostante l'evidenza, in Italia non è per nulla evidente (colpa anche della stupidità della sinistra ormai extraparlamentare, tutta quanta. E di quella cosa, quell'ameba incolore, che si fa chiamare "PD").


"Occhio per occhio... e alla fine il mondo diventa cieco"

Ora siamo molto miopi, cerchiamo almeno di metterci gli occhiali...


P.s.: consiglio caldamente di vedere un film uscito pochi mesi fa al cinema. Un bel film, statunitense, che ha pure incassato parecchio. Si chiama "Nella valle di Elah" ("In the valley of Elah" o, in spagnolo, "En el valle de Elah") , con un bravo Tommy Lee Jones come protagonista. Poi mi dite...

14 settembre 2008

Papa

Benedetto XVI rivuole le messe in latino? Ok, aspetta un attimo che lo imparo... Intanto, fanculorum.

Benedetto XVI spara contro le unioni civili? Ok, fatti prima una famiglia: e poi ne riparliamo. Nel frattempo, io convivo quanto mi pare e piace.

Un Nazista non ha il diritto di decidere se io sono nella Chiesa oppure no. E nemmeno di commentare le leggi di uno stato diverso dal Vaticano. Lì puoi pure farti tutte le leggi che vuoi... Fuori dal vaticano, puoi solo fare prediche ma MAI imporre nulla.




P.s.: ho appena letto su Repubblica.it due notizie collegate a questa:

1. la CEI annuncia che c'è stato un calo delle entrate derivate dall'8 per mille. Spero abbiate capito perché... Nel mio piccolo, io continuerò a dare i miei pochi centesimi ai Valdesi.

2. la CEI si lamenta che molti prelati ostacolano (addirittura vietano) la celebrazione della messa in Latino. Meno male... Vuol dire che solo l'apice è marcio e che con la base si può ancora parlare (ma di questo non avevo dubbi: fortunatamente ho conosciuto dei preti eccezionali nella mia vita, a cui devo molto, cominciando dai miei cari parroci in Patagonia. Ma anche nei dintorni di Treviso ce ne sono di splendidi, grazie al cielo...).