31 dicembre 2008

30 dicembre 2008

Ecco i terroristi di Gaza


Loro sono quelli che pagheranno questa idiozia, come sempre. Soprattutto a Gaza, dove sono quasi il 50% della popolazione. Ringraziamo l'unica democrazia mediorientale, Israele, per salvarli dalla barbarie.

28 dicembre 2008

24 dicembre 2008

BUON NATALE



La tradizione natalizia in Argentina prevede che, poco prima della vigilia, il padre-padrone del calcio porti qualche regalo ai figlioletti più sfortunati.

Anche quest'anno il Babbo Natale in oro-blu non si è dimenticato di portare allegria, soprattutto a corvi e galline...

22 dicembre 2008

Giornalino della Parrocchia

E' stato appena distribuito l'ultimo numero del giornalino della parrocchia di Lancenigo (TV), contenente un mio articoletto sui miei tre mesi in Palestina e su questo blog.

Lo ripropongo qui di seguito:

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In Palestina, semplicemente...


In Palestina semplicemente” è il nome del blog che ho scritto nei tre mesi passati a Betlemme, Territori Occupati Palestinesi, da luglio a ottobre di quest'anno. Ci sono andato per svolgervi un tirocinio presso una ong palestinese, il Centro per la Risoluzione dei Conflitti e la Riconciliazione (CCRR) ma anche perchè la Palestina, la “Terra Santa”, è un posto che ho sempre voluto vedere, capire, toccare. Non riuscirò a spiegare tutto in pochi paragrafi, mi accontenterò di lanciare qualche messaggio e provocazione, con la speranza di suscitare dubbi e riflessioni in chi legge.

E' stato difficile vivere quei territori così carichi di significato, di storia e di conflitti intricati e sovrapposti. E' stato ancora più drammatico capire che il terreno comune alle tre grandi religioni è diventato terra di scontro, accuse e sospetti, in cui paradossalmente è spesso difficile capire chi abbia torto e chi ragione (nonostante sia innegabile che la terribile occupazione israeliana è la causa scatenante di ogni problema). Ho vissuto con grande oppressione la “santità” dei luoghi e le divisioni religiose che permeano ogni aspetto della vita. La religione, qualunque, in “terra santa” è veramente soffocante.

Sono stati tre mesi intensi che tuttavia mi hanno lasciato un buon ricordo. A cominciare dalla popolazione di fede musulmana. Ospite di una famiglia sunnita, ho potuto toccare con mano il vero Islam, non quello che ci fanno vedere in televisione. Ho goduto della loro grande ospitalità e cultura e poesia e ho apprezzato il loro profondo senso del rispetto per me, occidentale e cristiano (nonostante la mia ostentata laicità) e il mio modo di fare, di essere, di vivere anche quando poteva essere scomodo (come per il consumo di alcolici). Un rispetto che ho ricambiato nel mese di Ramadan (e mi sono tanto vergognato leggendo le notizie che, in quel periodo, arrivavano da Treviso), a lavoro o nella vita quotidiana quando, ad esempio, andavo a prendere lezioni di arabo nella casa di una donna musulmana invalida in un campo profughi alle porte di Betlemme.

Nel CCRR, invece, ho lavorato alla valutazione di un progetto di educazione alla nonviolenza nelle scuole: il conflitto perenne ha stravolto profondamente la vita quotidiana dei palestinesi (e anche degli israeliani), soprattutto dei bambini che, abituati alla violenza, non conoscono altri modi per risolvere i loro problemi. Giocando con loro, chiacchierando, ridendo, ho constatato che i progetti di educazione valgono molto di più dei miliardi di euro spesi dalla cooperazione internazionale dei nostri governi, una cooperazione che incrementa solo l'industria dell'occupazione, l'assistenzialismo, le divisioni e il senso di impotenza, umiliazione e apatia. L'educazione paga ed è un grande investimento, forse il più importante. (Speriamo che lo capisca anche il governo italiano).

L'esperienza nel centro è stata splendida, grazie anche alla presenza e all'esempio di Noah Salameh, figlio di profughi palestinesi che dopo aver scontato 15 anni nelle galere israeliane per la sua militanza nella resistenza, decise di votarsi totalmente alla causa della nonviolenza attiva. Noah – uno dei referenti di lunga data della nostra associazione, e che è anche stato ospite nostro qui nel trevigiano - fa parte anche di Pax Christi nonostante sia musulmano, perché lavora intensamente al dialogo interreligioso fra cristiani, musulmani ed ebrei e alla costruzione della pace in Palestina.

Lavorando e vivendo a stretto contatto con i palestinesi, ho vissuto sulla mia pelle il dramma dell'occupazione che (tra giordani e israeliani) dura ormai dal 1948. Un'occupazione crudele, cinica e che viola sistematicamente e quotidianamente ogni diritto umano. Impedisce lo sviluppo di un popolo fino anche a negarne l'esistenza e non fa distinzioni all'ora di reprimere. musulmani, cristiani, palestinesi, stranieri, donne, anziani, bambini, tutti sono potenziali vittime. Proprio a causa dell'occupazione ho dovuto anticipare il mio rientro poiché le autorità: israeliane mi negarono il rinnovo del visto senza peraltro motivare la loro scelta. Anche se per me era chiara: avevo osato nominare la Palestina e dire che stavo lavorando con una organizzazione palestinese...

Venendo ai “luoghi santi” e ai pellegrini, mi dispiace dirlo ma li ho vissuti molto male. Affollati, chiassosi, invasi da migliaia di turisti feticisti e irrispettosi, tutti mascherati da pellegrini, ricchi di madonnine e crocefissi ma con gli occhi bendati di fronte alla terribile realtà di oppressione e ingiustizia che li circondava. Più interessati a toccare e scattarsi la foto coi cimeli di un Gesù trasformato in celebrità piuttosto che a capire il messaggio del Cristo. Per contro, ogni volta non potevo che ammirare il silenzioso rispetto con cui i pellegrini musulmani visitavano la Basilica della Natività o il Santo Sepolcro. Una lezione che dimenticherò difficilmente e che mi ha segnato molto.

Data la prossimità del Natale, chiudo con una cruda ma attuale riflessione che feci proprio davanti alla Grotta della Natività a Betlemme, in un rarissimo momento di silenzio e di pace:

Tocco le pareti, vedo che ci sono ancora resti della grotta vera e propria, con la roccia nuda, nera e lucida (chissà quante mani l'hanno accarezzata). Provo un'emozione mista a tristezza. Il Posto è questo, quindi; è qui che c'erano pecore, asini e buoi a scaldare una nuova, fragile vita, e a rendere l'aria irrespirabile. Qui si rifugiarono due futuri genitori, stanchi e sporchi per il lungo viaggio. In questo antro isolato, così minuscolo, spoglio, brutto, buio e, all'epoca, sicuramente sporco. Una grotta, un tugurio per nulla accogliente, fra gli animali, come animali”.

Dopo duemila anni, in Palestina c'è chi nasce ancora così. Non abbiamo imparato niente. Ma spero di sbagliarmi.


Un sincero augurio di buon Natale, di uguaglianza, di pace e di giustizia.


Jorge Ramón Centurión

Rete Radié Resch



16 dicembre 2008

Rilanciamo l'economia mondiale

...DIVENTIAMO TUTTI CALZOLAI!!!


lunga vita a MUNTADAR AL-ZEIDI, il Mastro-calzolaio del mondo!

Viene prima l'uovo...

Domenica, in Argentina, è stato risolto il secolare enigma "Viene prima l'uovo o la gallina?"...






La "gloriosa" squadra argentina (purtroppo è vero) del river plate, internazionalmente apostrofata col nomignolo di "galline" (per il coraggio l'accomuna con questo feroce pennuto) ha appena concluso un fantasmagorico torneo riuscendo nella meravigliosa impresa di arrivare ULTIMA, vincendo solo due incontri!!!!!!! Per cui:

VIENE PRIMA L'UOVO, PERCHÈ LE GALLINE ARRIVANO ULTIME!!!


Ah, nel frattempo il Boca Juniors si contenderà il titolo (ma non è una novità, siamo abituati a volare alto, cosa che le galline non riescono a fare) in un inedito mini-torneo a tre con il S. Lorenzo e la sorpresa Tigre, anche loro arrivati al primo posto.

¡VAMOS BOCA!

15 dicembre 2008

Lasciare Israele/ 2

Mattina del 18 ottobre.
Ormai tutto era pronto. Dovevo solo fare le ultimissime cose come pagare le ultime bollette, controllare la posta e salutare Abu Wahid e i colleghi e amici del CCRR. Noah era già partito per la Giordania: con lui ci eravamo salutati la mattina del giovedì, prima di andare con Jonas e Lina a vedere i trainings per gli insegnanti in due scuole a sud di Hebron. Ah, ecco un altra cosa di cui dovrò parlare...

Non sono mai stato bravo a fare gli addii o ad andarmene via. Non so mai cosa dire e come non cadere nel ridicolo o nel troppo sentimentale. E' proprio un qualcosa che non mi viene spontaneo. Dovrebbe essere un taglio netto e invece non mi decido mai: diventa una cosa lunghissima ogni volta. E questa non fece eccezione.
tanto che rischiavo di arrivare in ritardo all'aeroporto. Quando era palese che fosse già esageratamente tardi, salutai tutti uno per uno. Non volevo veramente andarmene ma c'era poco da fare ormai. Così mi decisi e me ne andai, seguendo Jonas in macchina. Andammo a prendere i miei bagagli, così salutai anche Abu Wahid sperando ognuno di rivedere l'altro non troppo in là. La macchina bianca era diretta al Check point, io iniziavo ad essere nervoso e un po' agitato. La paranoia saliva: pochi giorni prima, avevo letto un articolo di un giornalista italiano sui controlli di sicurezza israeliani. Diceva più o meno: "Sapete tutte le dicerie che si raccontano sulle paranoie degli addetti israeliani alla sicurezza e su tutte le loro infinite procedure di controllo? Bene, è tutto vero". In tre mesi ce ne eravamo accorti e sapevamo anche che se entrare in Israele è tutto sommato facile, uscire è una tragedia.
Mi innervosii moltissimo quando al Checkpoint di Betlemme un soldato israeliano ci fece aprire la macchina. "Ecco, lo sapevo, porca puttana"! Jonas iniziò a prendermi in giro per sdrammatizzare: "Hey, è la prima volta che mi succede. E anche l'altro giorno quando tornavamo da Jenin era la prima volta che mi fermavano con Noah. Non è che sei tu a portare sfortuna?". Come diceva Lupo Alberto: la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. E a volte sono convinto che abbia il mio nome tatuato sulla fronte...
Falso allarme, comunque. Passiamo senza problemi. Di là ci aspetta Massimo con la coopi-car. Mahira ci fa una sorpresa: è mezzogiorno inoltrato, fa un caldo boia ma la tensione produce fame. Ebbene, le sue manine sante estraggono due buste contenenti pane e falafel caldi caldi. L'ultima lattina di birra Amstel, fresca fresca, esce invece dalla mia tasca. Pranzo in macchina, l'ultimo, a base di immancabili ceci che ormai ci escono da tutti i pori. Il viaggio è tranquillo, tranne per un quasi-incidente quasi-provocato da un "portatore di treccine" che viene insultato in romagnolo dal nostro fedele guidatore. L'aria, man mano che ci si avvicina a Tel Aviv, si arroventa. Caldo irresistibile...

Arrivati, l'ultimo addio ai compagni di viaggio che mi incitano a tenere duro in vista degli interrogatori. Ciao Massimo, ciao Mahira. Grazie di tutto, mi mancherete. Vi penserò spesso (soprattutto Massimo e il suo visto ancora da rinnovare).

Prima di entrare attraverso le porte di vetro, vengo subito fermato dal primo addetto alla sicurezza in borghese che mi fa un sacco di domande sui miei accompagnatori. "Sì, li conosco; No, sono italiani; no, non partono; sì, abitano a Gerusalemme; no, te l'ho già detto che li conosco; no, ti ho già detto che parto solo io; no, li sto solo salutando col braccio". Convinto il tizio, entro. E inizia la lunga procedura.

"Mi segua" e seguo varie persone che, dopo aver parlato tra loro in ebraico guardandomi, mi consegnano a questo e poi a quello, e infine a due ragazze in divisa blu. Una ha l'aria dell'apprendista: è quella che, un po' timidamente, mi fa le domande che la bionda dall'aria di capo, le fa in ebraico. Per mezz'ora mi tempestano di domande di ogni genere. Domande a raffica, alle quali non sempre riesco a rispondere completamente a causa del ritmo incalzante. Vogliono sapere veramente tutto, nei minimi particolari, e non solo sul perché e il percome sono finito in "Israele" (mi sono messo in testa di levarmi dalla mente qualsiasi parola come "palestina-palestinese-musulmani-occupazione"). Rispondo sereno, portando prove, glissando sui particolari, raccontando qualche balla, sorridendo, facendo il finto tonto e ripetendo le stesse risposte a domande diverse. La mia serenità infastidisce la bionda, si vede chiaramente: ogni volta che sente di prendermi in castagna si scontra con le mie risposte. Mi inorgoglisco per l'impeccabilità e ogni paura inizia a svanire. So che non mi possono fregare in alcun modo e semplicemente glielo dimostro. Anche con delle battute che la bionda non gradisce per nulla. Incazzata come una vipera, per la prima volta mi rivolge direttamente la parola in inglese, senza far parlare la mora: "Qualcuno ti ha dato qualche cosa prima di partire?", "No - rispondo fingendo di pensarci- non credo, anzi: solo una T-shirt", "E allora pensaci bene, perchè potrebbe essere una bomba" e, con un sorriso sarcastico chiuse lì il lungo interrogatorio.
La guardai a bocca aperta mentre si allontanava con l'altra ragazza e pensai, "come no... Non sapevo che il cotone esplodesse".
Chiusa la raffica di domande, iniziò la lunghissima perquisizione di ogni cosa. Doppio controllo al metal detector di ogni mia cosa, alla quale appiccicarono un adesivo con un contrassegno di riconoscimento. Apertura dei bagagli e di ogni sacco e sacchetto: proprio quello che temevo (più che altro per la rottura di rifare le valige da capo). Poi, ben 5 addetti alla sicurezza avvalendosi di sofisticate apparecchiature iniziano a controllare ogni fibra di ogni oggetto, capo di abbigliamento, ecc. Controllo a parte con altre apparecchiature dei congegni elettronici (laptop soprattutto, al quale avevo precedentemente eliminato qualsiasi tipo di riferimento a "palestina-palestinesi-islam-musulmani-occupazione"). Mentre i 5 setacciavano le mie proprietà, venivo allontanato in un'altra stanza per una perquisizione a fondo. In muntande lasciai fare senza mugugnare, e il mio livello di paranoia iniziò a salire di nuovo. Era da più di un'ora ormai che mi stavano controllando anche le pulci e non vedevo la fine di quella enorme rottura.
Dopo qualche minuto, mi veniva concesso di rivestirmi e di ritornare a riabbracciare i cadaveri sventrati dei miei bagagli. Un'esplosione di pantaloni, fotocopie, magliette e souvenirs che ora dovevo cercare di far rientrare al loro posto. Porca troia...
Per fortuna i 5 vivisezionatori di bagagli mi diedero una mano per ripristinare l'ordine anche se alcune cose fui costretto a farle spedire perché non mi era consentito di portarle a bordo.
All'ennesimo "mi segua" iniziai a perdere la fede. Pronto per un'altra serie di sfiancanti controlli, segui muto muto l'addetto alla sicurezza percorrendo solitari corridoi, scale e ascensori. Finché, inaspettatamente, mi sentii dire: "Esca di qua, buon viaggio". Come? E' finito tutto? "Sì, abbiamo finito, può imbarcarsi". Yuhuu!!!!!!!!
Cammino e cammino fino ad arrivare al mio terminal e non mi siedo neanche ad aspettare il momento dell'imbarco.

Inizio a fare la fila da solo.
"Now boarding".
Bye bye

Lasciare Israele

Visto che i miei cari amici e colleghi delle Brigate "Al-Pavia" fra non molto dovranno tornare nelle rispettive patrie (dalla Romagna in fiore alle isole soleggiate del Mediterraneo), scrivo la mia esperienza all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv il giorno della partenza.

Premessa.

Correva il giorno 17 ottobre 2008. Il nostro sfigato protagonista (me) si accingeva a dare l'addio alle brulle colline coperte di ulivi. La valigia era pronta, i regali presi, l'ultimo giro per le vie di pietra di Betlemme fatto, gli ultimi saluti dati. Tutto era compiuto, secondo le scritture ("2 weeks", come predisse l'ignobile meretrice al varco di Allenby tra Giordania e Palestina).
Egli si recò nella città del Tempio, l'eterna Gerusalemme, dove avrebbe trovato gli altri due discepoli e avrebbero trascorso gli ultimi momenti in quella terra. Stava cominciando l'Ultima Bevuta.
Circondati da decine di giovani ebrei ebbri che se ne strafottevano delle celebrazioni dello Shabbat, i nostri tre alcolisti dichiarati facevano il giro dei pub scolandosi pinte su pinte, prendendo per il culo la gente e sputando sulle porte del Ministero degli Interni, lanciando malefici sui portatori di treccine e su quella stronza che complicò per sadico piacere personale il rinnovo dei visti.
Conclusero a notte fonda con un'immagine, inneggiando a Gaza libera, fotografati da ignari occupanti. I sottobicchieri erano stati già farciti di scritte pro-Palestina. Un'azione degna del migliore etilista incosciente.

Era già passata abbondantemente l'una di notte. Faceva freddo, l'imponente Muro mi si stagliava davanti illuminato da potenti fari. Un'aria da cortina di ferro mi faceva catapultare con l'immaginazione alla Berlino degli anni '60. Pieno di pensieri in testa, vengo improvvisamente destato dall'abbaiare ostinato di un vecchio cane di media taglia svegliatosi per il rumore dei miei passi. L'avevo conosciuto qualche giorno prima ma verso mezzogiorno: stava sdraiato all'ombra di un ulivo, vicino ad uno dei pezzi di Banksy che ritraevano un salotto. Quando lo vidi non sembrava cattivo, impaurito piuttosto. Con la coda tra le gambe, le orecche tirate indietro, la schiena ingobbita e la testa rasa al suolo, restò fermo a guardarmi in attesa di una sassata. Che la mia mano non scagliò mai. Quel giorno non riuscii ad avvicinarlo.
Questa volta, però, decisi che l'avrei accarezzato a qualunque costo. I pianti dei cani randagi, i loro lamenti, mi hanno sempre turbato nelle notti palestinesi. Avevo l'opportunità di dimostrare ad uno di quei cani che non tutti i bipedi sono crudeli. Chiamatemi stupido, però sentivo che dovevo farlo.
La notte era fonda, Orione brillava su di me e un venticello freddo spolverava la strada deserta illuminata dai lampioni.
Per far avvicinare il cane color miele feci di tutto, finché mi intestardii e decisi che l'unica cosa da fare era comunicare con il suo linguaggio. Improvvisatomi cane, mi misi a quattro zampe e iniziai a piangere come fanno i cuccioli. Il cane smise di abbaiare e restò a guardare stupito per vari minuti. Siccome non bastava a fargli abbassare la guardia, decisi di sdraiarmi per terra a pancia in su, che nel linguaggio dei cani significa "non farmi male, non voglio che mi attacchi e te lo dimostro". Lo incitai ad avvicinarsi continuando a piangere.

Iniziò a muovere i primi timidi passetti muovendosi in maniera circolare per capire le mie intenzioni. A questo punto non mi restava che mostrargli la zampa, cioè allungargli il braccio. Per non inibirlo, chinai la testa.
E avvenne il miracolo: il cane si avvicinò, un passetto per volta, pian piano. Sembrava il lupo Due-Calzini quando, nel film "Balla coi Lupi", si avvicinò per la prima volta all'ufficiale dell'esercito (Kevin Costner) per mangiare dalle sue mani. Allungandosi pian piano, il cane venne a toccarmi le dita col naso umido e scappò via. Ripetè il gesto un paio di volte finché prese un po' di coraggio e si fermò qualche secondo di più. Allora mi alzai in piedi, lo vedevo più sicuro anche se continuava a mantenere la distanza. Il contatto definitivo avvenne poco dopo: il cane, che per un momento ebbe l'illusione di essere un capo-branco, si fermò a mangiare degli avanzi presi da un bidone della spazzatura. Pian piano mi avvicinanai e, chinandomi, allungai pian piano la mano. Si lasciò toccare, senza nemmeno voltarsi. Lo accarezzai, bisbigliandogli dolcemente delle parole. Lo accarezzai a lungo. Era malconcio, povero, ridotto a pelle e ossa. Triturava voracemente degli ossi sporchi e con gli occhi tristi mi guardava mentre gli carezzavo il muso e la testa. Ormai si fidava, aveva capito che, come nel Libro della Jungla di Kipling, eravamo "di uno stesso sangue". Mi sentii un po' come Mowgli quando cacciava coi lupi del Branco, parlando la stessa lingua e seguendo la stessa Legge. Per un po' vagammo insieme, toccandoci col muso lui e la mano io. Poi le nostre strade si divisero di fronte ad un'ansa disegnata dal Muro. Ci salutammo.
Un mio piccolo sogno palestinese si era realizzato. Spero solo che quel cane abbia trovato ancora delle mani pronte ad accarezzarlo, e non più sassi per colpirlo...

La cooperazione internazionale e la Palestina

Ovvero: "come ti prendo per il culo".

Oggi ho ricevuto una mail dall'AIC di Beit Sahour (l'Alternative Information Center) che pubblicizza un incontro con un economista. Si parlerà, appunto, dell'ingente quantità di fondi che arrivano in Palestina.

Ecco il testo originale:

The Goals and Consequences of Foreign Aid to Palestine

by Shir Ever

The international community has been spending more money per Palestinian than on nearly any other group in the world, and yet this aid has failed to advance the political goals which it was intended to achieve. What are these goals? Why has aid failed? In which new direction are donors trying to take aid?".


La traduzione (pressapochista) è la seguente:
"Gli obiettivi e le conseguenze degli aiuti esteri alla Palestina" di Shir Ever
La comunità internazionale ha speso più soldi per Palestinese che per qualsiasi altro gruppo nel mondo, e questi aiuti ancora non sono riusciti a far avanzare gli obiettivi politici che intendevano raggiungere. Quali sono questi obiettivi? Perché gli aiuti hanno fallito? In quale direzione i donatori stanno cercando di portare gli aiuti?


Mentre ero in Palestina era evidente come il flusso di aiuti internazionale fosse ingente e chiunque si sarebbe chiesto, vedendo così tanti soldi spesi, come mai la situazione fosse ancora così disastrosa. L'ho già scritto una volta: al Master di Pavia ci hanno detto chiaro e tondo che la Palestina è uno di quegli esempi perfetti di cooperazione internazionale "nociva", cioè che più che aiutare a svilupparsi ottiene esattamente l'effetto opposto.

Si potrebbe scrivere un libro sull'argomento. Fatto sta che purtroppo è veramente questa la situazione ma è molto difficile capire come venirne fuori: insomma, è un circolo vizioso. Da un lato la cooperazione internazionale è funzionale all'occupazione, distorce la realtà, diseduca il popolo palestinese. Dall'altro, però, ridurre il flusso rappresenterebbe una catastrofe per i palestinesi, che da soli non hanno i mezzi per risolvere i propri problemi.

Personalmente penso questo: piuttosto che spendere miliardi di dollari e euro in puttanate, si dovrebbe puntare di più sui progetti di educazione e istruzione (di cui c'è tantissimo bisogno in Palestina, ma non solo: l'istruzione è sempre un investimento, mai un costo e basta!), rafforzare le realtà locali già esistenti e sforzarsi per una pace che non lasci fuori la giustizia. Finché non si farà vera giustizia in Palestina, nessuna pace e nessuno sviluppo potranno essere proficui e duraturi.

No, non ho finito...

Ebbene, rieccomi qui. In molti mi avete tirato le orecchie per la promessa non mantenuta di continuare a scribacchiare su questo blog. E allora, diamoci dentro.

Ormai sono passati quasi due mesi dal mio rientro, ho mentalmente tirato le somme e prima o poi (leggi "fra qualche mese") le scriverò anche qui. Nel frattempo, però, mi devo confrontare con una realtà per niente facile qui nella "locomotiva Nordest", nel Veneto produttivo, dove non riesco a trovare lavoro.
Sto inondando le agenzie interinali di miei CV, sono ormai diventato amico della bacheca dell'Informagiovani di Treviso dove vado a leggere gli annunci, contatto organizzazioni, chiedo, propongo. Niente da fare, sono destinato alla disoccupazione e a pagare bollette. Solo la grappa mi tira su (e non è un bel dire).

A quanto pare devo pentirmi di aver osato studiare; a volte mi pento di non essermi fermato alle superiori (di sicuro starei già lavorando e avrei anche qualche soldo da parte) o quantomeno di non aver intrapreso un altro tipo di corso di studi (scienze internazionali e diplomatiche? Ma per favore...). A volte la butto sul ridere, scoprendo che tanti hanno trovato lavoro seguendo l'argomento della propria tesi. Beh: io l'avevo fatta sulla crisi argentina (quella del 2001) e i tanti movimenti sociali sorti in quel periodo, come i movimenti di lavoratori disoccupati. Avrei dovuto sapere cosa mi aspettava!

27 ottobre 2008

Non è finita qui..

Sto scrivendo dalla provincia di Treviso, è una mattina uggiosa e autunnale. Sono rientrato in Italia da poco più di una settimana ma qualcosa di me è rimasto in Palestina. E anche alcuni amici che non lascerò.

Ho ancora molto da scrivere, da dire, da delirare. Per cui non abbandonate questo blog. Devo ancora tirare le somme, postare foto, raccontare dell'interrogatorio a Tel Aviv, dell'ultimo falafel e di un'inaspettata amicizia all'una di notte al check point di Betlemme.

No, non è finita qui. Non è finita, semplicemente...

16 ottobre 2008

Alcune foto

assetato di Taybeh
ospiti d'onore: i musicisti bavaresi (ja, teteschi di Cermania!)
quartiere ebraico a Gerusalemme
La Cupola della Roccia e il Muro Occidentale (alias Muro del Pianto)

uno scorcio del Suq (mercato) nel quartiere arabo di Gerusalemme

In breve

Beh, ormai sono in dirittura d'arrivo. Oggi ho chiuso il contratto del telefono, ho iniziato gli ultimi giri di saluto, sto cominciando pulizie e impacchettamenti.
Mentre fuori i contadini iniziano a spogliare gli ulivi dai loro frutti e il cielo, per qualche ora, ha regalato qualche goccia di pioggia ad una terra secca.

Negli ultimi giorni e' successo un po' di tutto. Alcune cose le spieghero' con le foto nel prossimo post. Comunque, il riassunto (che riprendero' con calma piu' avanti, soprattutto una parte).

1- sabato scorso c'era l'Oktoberfest (festa della Birra) a Taybeh, vicino Ramallah. Pienone di gente, moltissimi stranieri (turisti, cooperanti e volontari internazionali). Immancabile la presenza della delegazione Al-Paviah!

2- domenica mattina ho tentato di ottenere almeno un appuntamento per il visto al ministero degli interni a Gerusalemme. Zero risposte. Per cui ne ho approfittato per l'ultimo giro nella citta' vecchia: spianata delle moschee fingendomi musulmano (ma e' durata solo il tempo di fare una foto alla Cupola della Roccia), quartiere ebraico, rovine del cardo romano, Santo Sepolcro. Che tutto era fuorche' un luogo di preghiera...

3- ultimo flop a Ramallah lunedi' per il visto. Inizio i preparativi per la partenza.

4- non me n'ero accorto (nelle zone "A" non ci sono coloni) ma quelli sono stati giorni duri. In varie localita' i contadini palestinesi intenti a raccogliere le olive sono stati aggrediti dai soliti coloni estremisti. Persino un'associazione di Rabbini per la pace e' stata oggetto degli attacchi...

5- A Betlemme, invece, non distante da dove sto io, una trentina di veicoli militari israeliani ha assediato un condominio che poi ha quasi demolito con vari colpi d'arma da fuoco di grosso calibro. Il tutto e' successo alle 8 del mattino, quando i bambini andavano a scuola.

6- Martedi' siamo andati a Jenin per un colloquio con il mufti, che ha chiesto di organizzare un incontro e un successivo progetto per combattere la violenza nelle scuole. Jenin dista poco piu' di un 100 km da qui e ci siamo stati non piu' di mezz'ora. Bene: tra andare e tornare ci abbiamo messo 7 ORE!!! Passando per 9 check points, tutti in terra palestinese. Ce n'eravamo scordati: era in atto una chiusura totale del West Bank per la celebrazione religiosa ebraica della "Festa delle capanne"...

7- ieri, invece, missione a Hebron per i primi trainings degli insegnanti nell'ambito del progetto "Young Negotiators Program". Molto interessante vedere come funzionano, e soprattutto vedere gli insegnanti nel ruolo degli studenti, mentre ridono e scherzano e organizzano scenette e giochi di ruolo

8-giorni anche di incontri. Cominciando proprio da lunedi, quando Jonas mi ha invitato a casa sua per una grigliata in famiglia. Dato che tutti parlavano francese e tedesco, e' stato anche un momento di utile ripasso. Beh, mi sono proprio trovato a mio agio...

9- L'altro ieri, invece, compleanno di Andrea (ex-studente del nostro Master e ora lavora per il master gemello di Betlemme). Tra succhi corretti vodka, birra Taybeh, vini di Cremisan, datteri giordani e maxitorta al cioccolato! Scoprendo che sopra Beit Jala girano le gazzelle, arrivate da non si sa dove...

10- Ieri notte serata a casa di Echlass, l'insegnante di arabo, con dei ragazzi catalani in visita nei Territori Occupati. Contenti dell'esperienza ma molto amareggiati per una situazione senza speranze...

13 ottobre 2008

Game Over /2

Fine dei giochi.
Stavolta per davvero. Tra ieri e oggi mi sono giocato le mie ultime carte per cercare di posticipare la partenza oltre le famigerate due settimane che avevo ricevuto tornando dalla Giordania (grazie a quella simpatica ragazzetta che continuo a ricordare nelle mie maledizioni quotidiane). Sul serio, non c'e' altro da fare.

Il mio cuore e' diviso in parti uguali: una e' felice (e anche di piu') mentre l'altra e' dipinta di tristezza con marcate sfumature di rabbia. E nel mezzo, un po' di rassegnazione e incredulita'.

Sabato notte ritornero' in Italia

10 ottobre 2008

"Bronsa cuerta"...

Mercoledì era "Yom Kippur", il giorno più importante del calendario religioso ebraico. Un giorno dedicato esclusivamente alla preghiera, al digiuno e all'espiazione delle colpe. Ovvero un giorno in cui è vietato fare praticamente tutto. Anche guidare. Il personale dell'ONU e delle ong straniere che lavorano in Israele sono stati caldamente invitati a non muoversi fino ieri notte perchè c'era il rischio molto concreto di essere attaccati da estremisti ebrei e di finire coinvolti in scontri e sassaiole.

Proprio quello che è successo nella città settentrionale di Akko. Una macchina di arabi è stata presa a sassate da giovani ebrei*. L'assalto ha provocato la reazione dei coetanei arabi che, pochi minuti dopo, è sfociata in un violento scontro. Scontro pericoloso perchè Akko è una di quelle città israeliane (come Tel Aviv-Jaffa, Nazareth o la stessa Gerusalemme) dove vivono forti comunità palestinesi. E ancora più pericoloso perchè gli ultraortodossi gridavano ripetutamente "morte agli arabi".

Bisogna vedere ora quali saranno gli strascichi di questo episodio. Di certo c'è che gli estremisti religiosi ebrei stanno guadagnando molto terreno, condizionando pesantemente la vita civile di Israele (ma c'è chi lo nega, anche di fronte all'evidenza). E che tra i palestinesi forse si sta muovendo qualche cosa ma sono ancora segnali impercettibili.

Concretamente: c'è il rischio di una nuova Intifada. O quanto meno di una guerra civile fra palestinesi (a causa della pretesa di Mahmoud Abbas -alias Abu Mazen- di restare in carica oltre il suo mandato). Qualche cosa cova sotto le ceneri. Spero che gli scontri di Akko non siano la premessa. Perché sennò butta proprio male.



*su Al-Jazeera una ragazza ebrea intervistata raccontava di come di solito i non-ebrei (leggi arabi) rispettino queste feste ma che comunque non è corretto imporre a persone di altre confessioni le proprie esigenze. E che, tuttavia, è permesso guidare in casi di emergenze.

La parola che ha usato, "rispetto", credo che qui in Palestina e Israele abbia un altro significato, ossia "paura", paura delle ritorsioni...

9 ottobre 2008

The Wall

"The Wall" è stata forse l'opera più famosa dei britannici Pink Floyd, che ne hanno ricavato pure un film. Quel "muro", almeno per la massa di consumatori di musica, divenne quasi il loro simbolo, un marchio, un'opera d'arte.

Beh, "the wall" che c'è qui fa sicuramente schifo ma un po' d'arte ce l'ha. Più che altro perché ce l'hanno dipinta sopra. Anzi, "lui" ci ha dipinto sopra...

Un paio d'anni fa, forse tre, il famoso e misterioso artista inglese Banksy arrivò qui in Palestina per dedicarsi a ciò che meglio sa fare: riempire i muri di graffiti o murales (o come volete chiamarli). Banksy è un pittore molto celebre e i suoi pezzi sono valutati anche in decine e anche centinaia di migliaia di euro. Peccato, però, che il suddetto non prenda un centesimo -almeno non per queste- perchè nessuno sa chi sia veramente e soprattutto le sue opere restano sui muri (almeno finché qualcuno non decide di cancellarle, come spesso è successo, anche qui). Ah, c'è chi sta pensando di fare una specie di itinerario turistico del Muro per vedere le opere del "grande artista"... (boh, sono scettico...)

Beh, qui a Betlemme ci sono ancora dei pezzi superstiti (alcuni un po' rovinati, purtroppo) per cui ho deciso di farci delle foto e mostrarveli. Vale veramente la pena...





Questi li ho visti ma non li ho fotografati io
(com'è oggi e, sotto, com'era)


Alcuni hanno giustamente fatto osservare che con questo genere di attività si corre un rischio, cioè di "normalizzare" il muro. Ovvero che un mezzo di segregazione e oppressione diventi parte dell'arredamento urbano, alterando la realtà dei fatti e dandogli persino un connotato positivo (che non ha). Purtroppo sta accadendo, e me ne sono accorto oggi quando ho visto questi (pubblicità di ristoranti e locali di Betlemme):


L'ultimo, in particolare, mi ha fatto schifo. L'ho trovato proprio di cattivo gusto. Come se un triestino, a Basovizza, aprisse l'osteria "Alla foiba" o a Bologna, di fronte alla stazione, si inaugurasse il locale "La Bomba". Quantomeno grottesco, no?


P.s.: dimenticavo: anche il "cartello stradale" con la rimozione del carro armato, che si vede in alto a destra del blog, è di Banksy...

9 ottobre, 1967...

Hasta siempre, Comandante...

Si el poeta eres tú
(Pablo Milanés)


Si el poeta eres tú
–como dijo el poeta–,
y el que ha tumbado estrellas
en mil noches
de lluvias coloridas eres tú,
¿qué tengo yo que hablarte, Comandante?


Si el que asomó al futuro su perfil
y lo estrenó con voces de fusil
fuiste tú, guerrero para siempre, tiempo eterno,
¿qué puedo yo cantarte, Comandante?


En vano busco en mi guitarra tu dolor
y en mi jardín ya todo es bello, no hay temor,
¿qué puedo yo dejarte, Comandante,
que no sea cambiar mi guitarra por tu suerte,
o negarle una canción al sol,
o morir sin amor?


¿Qué tengo yo que hablarte, Comandante,
si el poeta eres tú?
–como dijo el poeta–,
y el que ha tumbado estrellas
en mil noches de lluvias coloridas eres tú,
¿qué tengo yo que hablarte, Comandante?

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Se il poeta sei tu

Se il poeta sei tu
-come disse il poeta-
e colui che abbatté stelle
in mille notti
di piogge colorite sei tu,
ché ho io da dirti, Comandante?


Se chi affacciò al futuro il suo profilo
e lo introdusse con voci di fucile
fosti tu, guerriero per sempre, tempo eterno,
ché posso io cantarti, Comandante?


In vano cerco nella mia chitarra il tuo dolore
e nel mio giardino già tutto è bello, non c'è timore,
ché posso io lasciarti, Comandante,
che non sia cambiare la mia chitarra per la tua sorte,
o negare una canzone al sole,
o morire senza amore?


Ché ho io da dirti, Comandante,
se il poeta sei tu?
-come disse il poeta-,
e colui che abbatté stelle
in mille notti di piogge colorite sei tu,
ché ho io da dirti, Comandante?


(clicca qui per ascoltare la canzone)


Lettera aperta al Che

di Frei Betto (in spagnolo) cliccando qui


5 ottobre 2008

Giordania/1 (foto)

Mentre continuo pesantemente a maledire ad ogni secondo quella simpatica fanciulla che ci ha enormemente complicato la vita, posto alcune foto della nostra vacanza giordana: Amman, capitale del Regno Hascemita di Giordania, e Petra, una delle "7 meraviglie" del mondo. Le impressioni (tante) le lascio per un altro post...
Buona visione!


AMMAN

Amman: colonnato di ordine corinzio del foro Romano

Amman: collina della cittadella Romana (sito archeologico)

Amman: il teatro Romano e il colonnato del Foro

Amman: narghilé e musica araba dal vivo in un caffé del centro

Birra, hummus, tahina, lebaneh e altre tipiche salse arabe

Sua Maestà l'onnipresente re hascemita Abdallah II (che abbiamo visto in tutte le salse:
arabo, militare, calciatore, tifoso, fumatore, re, "presidente", al lavoro, a casa, figlio, padre, marito, ecc, ecc, ecc)


PETRA

entrando a Petra

Petra! Palazzo con obelischi

Camminando lungo il sentiero Nabateo e Romano...


Il più celebre monumento di Petra

Guardia araba

I mitici muli dei beduini! grandi!

Si contratta sul prezzo...

Massimo alle prese col mulo
Il mio mulo si inerpica sul sentiero esaltato dai miei incitamenti

le antiche abitazioni di Petra scavate nella roccia

I cammelli dei beduini e, sullo sfondo, una vista delle rovine di Petra
boia can se faceva caldo...

i dintorni di Petra, verso il deserto
Petra: il Monastero
artigiano beduino
giovane beduino
cammelliere beduino

trovare le differenze... (x Matteo: sì, la cinghia rossa mi dava un po' fastidio! :-) )