Oggi al CCRR ho assistito ad uno spettacolo per me insolito...
È arrivata una piccola comitiva multietnica la cui composizione era già di per sé molto particolare: oltre ad una ragazza di Strasburgo che lavora per il Consiglio d'Europa, c'erano un macedone, una kosovara albanese e un serbo. Insomma: gente che potenzialmente potrebbe scannarsi appena si vede da lontano. Come se non bastasse, c'era pure un ebreo israeliano, arrivato un'aria che odorava di sfida (anche se probabilmente non era quella la sua intenzione). Aggiungiamoci Noah, palestinese, e gli ingredienti della potenziale miscela esplosiva ci stavano tutti. (se aggiungevamo uno statunitense, mi ci mettevo io a completarla! he he!).
Come mai questa variegata rappresentativa di due dei più duri e complessi conflitti etnici che minano la stabilità delle relazioni internazionali?
Beh: anzitutto, quelli che sono arrivati oggi sono tutti attivisti per la pace che, da vari anni, lavorano nella risoluzione dei conflitti in varie ong, e con un bel background anche formativo alle spalle (master, dottorati, ecc.). L'idea di fondo è quella di creare un network di associazioni e realtà sia balcaniche sia mediorientali che si possano conoscere per scambiare esperienze e metodi, attraverso incontri o seminari o internships.
Per semplificare: darsi una mano fra gente presa con le bombe (in tutti i sensi) e quindi che capisce per esperienza sulla propria pelle quali siano i problemi da affrontare.
Loro l'hanno chiamata con un'espressione interessante: "cross-fertilization" (fecondazione incrociata). Che significa "scambio tra differenti culture o differenti modi di pensare che è reciprocamente produttivo e benefico".
Ho avuto un assaggio delle difficoltà che ci possono essere anche per l'ovvio scontro di punti di vista diversi quando, ad un certo punto, il dibattito si è acceso sulle metodologie di risoluzione del conflitto in Palestina. Noah insisteva sull'inutilità dei cosiddetti "hummus meetings", cioè quegli incontri "peace&love" fra israeliani e palestinesi (ne ho parlato anche in vecchi post). Al contrario, l'israeliano controbatteva duramente e senza peli sulla lingua dicendo che saranno anche inconclusivi e freakettoni ma quanto meno hanno il potere di intaccare gli stereotipi dei palestinesi che hanno i giovani israeliani. I due non si sono risparmiati critiche però è stato interessante proprio questo aspetto. E soprattutto: ho visto quanto sia difficile (forse anche di più) per gli israeliani affrontare l'argomento. O meglio: il loro ambiente è piuttosto ostile per cui parlare di riconciliazione risulta difficile e se i palestinesi vengono percepiti come intransigenti (questa era la "accusa" mossa a Noah) non si fa altro che complicare le possibilità di dialogo. "Così non ci facilitate il lavoro, e permettete che i giovani israeliani pensino che voi siete solo dei kamikaze che si fanno esplodere negli autobus". D'altra parte, ribatteva Noah, se le ong palestinesi non lottano per obiettivi concreti (= la fine dell'occupazione e il diritto al ritorno dei profughi), non avranno mai nessuna speranza di convincere la gente della necessità di dialogare e, anzi, il rischio di essere considerati collaboratori degli israeliani (o peggio: traditori) è molto concreto. E le conseguenze non sono delle migliori.
Ho capito anche quanto sia difficile per entrambi -ong israeliane e palestinesi che lavorano per la pace- convincere i rispettivi popoli della necessità del dialogo, del confronto, dell'incontro. Una specie di lotta contro i mulini a vento...
Insomma... Wow... Com'è intricata sta matassa...
27 settembre 2008
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