31 agosto 2008

L'oppio dei popoli...

...per Marx era la religione, che annebbia la mente dei popoli per distoglierli dai problemi sociali e dallo sfruttamento.

L'oppio dei popoli odierni è, in molti casi, il calcio. E in questo caso, non mi redimerò mai dalla mia tossicodipendenza!

E' domenica, giorno dedicato al riposo e alla preghiera. E al calcio.
E' cominciato il campionato italiano ma sinceramente non m'importa un granché: da anni è diventato un campionato freddo, quasi di soli giocatori stranieri -mercenari strapagati- che nemmeno sanno il colori delle maglie che portano e credo che non riescano nemmeno a capire se i propri tifosi allo stadio li insultano o li lodano. Il gioco spesso è freddo, cinico, tattico. Professionisti senza cuore. Come si può tifare squadre così?

Sono Argentino, e me ne vanto (come tutti gli argentini! Sì, ogni tanto dovremmo abbassare un pelo la cresta... I fratelli latinoamericani spesso non ci sopportano per il nostro ego). In Argentina, però, abbiamo la miglior squadra del mondo, non è una diceria. Magari non sempre la più forte, ma di sicuro è la migliore, incomparabile. E il miglior tifo. E anche lo stadio più impressionante. Tutto in uno, pacchetto compreso e senza scadenza: sempre valido.

Cosa sarà mai a poter offrire così tanta bontà calcistica? Semplice. Il BOCA JUNIORS.

"Poiché non siamo gli unici, abbiamo scelto di essere i migliori"
Perché?
Il Boca è una delle squadre più titolate al mondo, che nella sua lunga e gloriosa storia ha affrontato e vinto in ogni luogo e in ogni condizione, ogni squadra. Nata dalla voglia di riscatto di 5 immigrati italiani, genovesi per la precisione, è una squadra di Popolo, fatta dal popolo e che lotta e vince per il suo popolo. L'identificazione totale con la gente del quartiere in cui nasce (La Boca, appunto, antico porto di Buenos Aires) è una cosa che ha rari eguali nel mondo: forse il Napoli, forse il Genoa, il Liverpool, la Roma. Forse.

Boca Juniors come mezzo di emancipazione: nato in un quartiere difficile, malfamato (tuttora), proprio per cercare di dare un'immagine migliore all'esterno senza però andarsene. Rimanere e lottare. Come il pittore Quinquela, che volle trasformare la bruttezza del suo quartiere usando la sua stessa povertà: dipingendo le lamiere delle baracche in cui abitano (ancora oggi) i lavoratori con le vernici avanzate dalle barche...
scorcio (turistico) del popolare quartiere de La Boca

La stessa gente del quartiere vive, lotta e muore per il Boca Juniors che è parte della propria vita quotidiana. Come lo era la politica: anarchici, socialisti, rivoluzionari di ogni tipo. Che a fine '800 costituirono persino una "repubblica" (con tanto di costituzione) chiedendone polemicamente il riconoscimento al Re d'Italia.

Non si tratta solo di sport, non si tratta solo di calcio, non si tratta solo di tifo. E' quasi una religione, che ti segna in ogni momento della vita. E che non puoi tradire (ma nemmeno ti sogni di farlo!), in nessun momento. E' un fenomeno che in Europa e in altre parti del mondo (America Latina esclusa) non si può capire: tanto che allo stadio, per vedere e capire cosa succede, ci vanno fior fiore di sociologi. "Vuoi capire gli Argentini? Vai allo stadio". Vale anche per i Brasiliani, eh...

L'identificazione della gente con il Boca è talmente forte che la tifoseria è sempre stata conosciuta con il nome di "La 12", ovvero il 12° giocatore in campo. Quello che, nei momenti difficili, non contesta la squadra e non lancia poltroncine o monetine contro i propri giocatori: li sostiene, canta ancora più forte, tanto da coprire i canti dei tifosi locali quando giochiamo in trasferta. Ditemi una sola squadra che riesce a farlo, ogni volta, in ogni stadio, in ogni paese, in ogni stato. "La 12", tifoseria fedelissima e sempre presente, soprattutto quando il gioco si fa difficile. Decenni fa, il Boca rischiava la retrocessione e La 12, invece di contestare la squadra o gettarsi nello sconforto, non si perse d'animo: più la squadra sprofondava nella classifica, e più aumentava il numero degli abbonamenti e dei tifosi che accorrevano per dare una mano ai calciatori. Che, alla fine, si salvarono. Fossero stati un'altra squadra sarebbero già scomparsi.
La 12, quella che prima della partita contro il Real Madrid per la coppa Intercontinentale, fece apparire uno striscione gigantesco -da guinness dei primati- con scritto: "Potrete imitarci, ma eguagliarci MAI". I pronostici ci davano morti: 2-0, invece, dopo soli 13 minuti di gioco (finì 2-1). Ecco il Boca, ecco La 12. Uno dei tanti esempi. Solo uno dei tanti.

Squadra di Popolo perché molto spesso chi gioca nel Boca è nato e vissuto nel suo popolo: da anni la squadra sforna giovanissimi talenti dai propri ricchi vivai: Riquelme, Tevez, Gago, Banega, Monzón, Battaglia, Arruabarrena, Burdisso, Ledesma... Oppure ne lancia: Batistuta, Verón, Samuel, Kily Gonzalez, Palermo, Abbondanzieri, Barros Schelotto, Palacio... Diego Armando Maradona.
in una foto del 1981

Un attaccamento alla maglia unico al mondo. Quasi la totalità della rosa attuale proviene dai vivai. Questo è amore per la maglia, rispetto dei tifosi e della propria storia. Il calcio italiano dovrebbe imparare molto, oltre a comprarci i giocatori.

Giovani talenti, forse senza tanta esperienza ma motivati dall'amore per la maglia: quella stessa maglia, quegli stessi colori che -quando erano più piccoli- sostenevano dalla curva. Giocatori-tifosi, insomma. E che in campo ti fanno fare pazzie: altro che rigide tattiche, altro che freddo calcolo. Il calcio latinoamericano è passionale, caldo, imprevedibile.
Quasi sempre i giocatori provengno da famiglie poverissime, come Carlos Tevez o Diego Armando Maradona (due dei più celebri figli del Boca).

Oggi, ad esempio, l'attacco titolare del Boca era assente per infortuni vari: i tre titolari, contemporaneamente! Mancavano Palacio, Palermo e Riquelme (un altro dei nati nel Boca). Soluzione obbligata: schierare tre giovanissimi del vivaio, in una squadra già piena di neo-debuttanti. Risultato? 3-0 all'Huracan, fuori casa, con un tifo che si è scatenato come se fosse in casa e che ha portato nel giro di venti minuti ad una doppietta del giovane Gaitán (prodotto del vivaio del Boca) seguita al vantaggio siglato da Viatri (serve dire da dove viene?).
12 in campo. Per forza si vince!

"un 'uragano' di emozioni per mano dei ragazzini", fresco fresco
(nella foto l'attaccante Noir, proveniente dal vivaio)


Popolo, tifo, stadio. L'altra cosa che rende unico il Boca Juniors è il suo particolarissimo stadio, internazionalmente conosciuto come "La Bombonera". L'attuale stadio fu costruito 70 anni fa, incastonato nel pieno centro del quartiere La Boca, proprio a ridosso dei condomini e delle case di latta dipinta dei poveri abitanti. Uno stadio dalla forma strana, senza un lato (per mancanza di spazio) con gli spalti talmente inclinati e attaccati al campo di gioco da dare l'impressione di volercisi gettare a capofitto.
la Bombonera incastonata ne La Boca

E con un tifo rovente, scatenato, indiavolato come il nostro, tutti gli avversari subiscono l'impressionante effetto intimidatorio de La Bombonera (strappare un pareggio in casa al Boca è già un'impresa, figuriamoci batterlo). Il tifo, appunto: indiavolato, senza freni, senza pause. Un boato continuo che fa tremare il campo e l'intero quartiere (che, quando si gioca, si ferma totalmente come per assistere ad un importante evento religioso: ci sono stato durante una partita, è una cosa impressionante...). Un terremoto di passione, che scuote gli animi, travolge chi assiste, spinge chi indossa la maglia Oro-Blu all'attacco.

l'entrata della squadra. notare la vicinanza dei tifosi (cheer-leaders escluse, eh...) al campo
la squadra saluta i tifosi

Quattro anni fa, una rivista inglese di sport, fece un'inchiesta internazionale per decidere quale fosse il miglior spettacolo sportivo di tutto il mondo, fra tutti gli sport.
Ebbene, al primo posto, indiscusso, c'era il superclásico (derby) Boca Juniors-river plate, alla Bombonera. Non ci sono parole per descrivere cosa significa quella bolgia. Bisogna vederla.
Ora, nelle viscere della Bombonera, c'è anche il "Museo de la Pasión" Xeneize (da "zeneize" genovese, soprannome del Boca). Che attira ogni anno orde di turisti stranieri e non, curiosi di capire il segreto che si cela nello stadio più magico del mondo.

Boca, La 12, Bombonera. Una vera e propria religione. Facendo un po' il blasfemo, è quasi una seconda "santa trinità": tre manifestazioni della stessa entità.
Non solo: c'è pure il cimitero. Il Boca Juniors è la prima squadra ad aver allestito un piccolo cimitero nei pressi de La Bombonera, dove possono essere seppelliti (dietro lauto pagamento) i tifosi più accaniti....
striscione per ricordare i vecchi tifosi passati a miglior vita
"Nemmeno la morte ci separerà, dal cielo ti sosterrò"


le bare del Boca

Ecco perchè tifo Boca da quando sono nato (e forse anche prima). Ecco perché lo tiferò sempre e ovunque, anche qui in Palestina (dove ho già trovato molti bambini simpatizzanti). Ecco perché a qualsiasi ora giochi il Boca, se riesco a vedere la partita la guardo, soffro, gioisco e -come La 12- non contesto mai. In quei colori ci sono anch'io: quella maglia sono anch'io.

Ed ecco perché in America Latina parlare di calcio non è una cosa frivola: il calcio è vita, è passione, è morte, sono scontri sociali o riappacificazioni. Il calcio latinoamericano è amore, odio, esaltazione, sofferenza, godimento, terrore, poesia. E' cultura. E' fonte di ispirazione per i più grandi scrittori, poeti, artisti. Nessuno si sottrae al fascino del calcio. Nemmeno Che Guevara, Il rivoluzionario, l'idealista, l'incarnazione più pura della politica: lui, argentino, era un fiero tifoso del Rosario Central, squadra della sua città natale.

Sempre a costo di sembrare blasfemo (ma ovviamente non è questa l'intenzione!), concludo con uno dei motti dei membri de La 12:

"El fútbol
mi religión, la Bombonera mi templo, Boca mi dios"
Il calcio la mia religione, la Bombonera il mio tempio, Boca il mio dio.

Amen

io, da piccolo, in Argentina
sempre io -spaventoso, direi! :-)- in una foto di qualche anno fa

Qui Palestina, a voi Argentina...

Il mio Paese, l'Argentina, sta passando un momentaccio: mesi di conflitto fra i latifondisti del settore agricolo che protestavano per il (rozzo sì -tant'è che colpiva anche i piccoli produttori- ma giusto) tentativo del governo di aumentare le tasse alla produzione di soja (transgenica e destinata solo al mercato estero), risolti con un clamoroso voltafaccia del vicepresidente della Repubblica a favore dei latifondisti; polemiche sempre più forti per l'evidente manipolazione dei dati statistici per far sembrare più bassa un'inflazione preoccupante; dubbi sempre più insistenti sulla salute dell'economia argentina, e voci su una possibile crisi simile a quella del 2001; destra reazionaria sempre più aggressiva e forte (con minacce, pestaggi e via dicendo); via libera allo sfruttamento minerario di imprese straniere ai danni delle popolazioni locali che subiranno il saccheggio delle risorse e l'inquinamento e avvelenamento dell'ecosistema; intricato processo di ristatalizzazione dell'allora gloriosa compagnia aerea nazionale (Aerolineas Argentinas), la cui privatizzazione fu uno dei peggiori scandali degli anni '90 assieme alla privatizzazione dell'impresa nazionale di idrocarburi (YPF, ora nelle grinfie della spagnola Repsol).

Le ultime notizie riguardano i processi ai repressori, assassini e complici dell'ultima dittatura militare (1976-1983) che fu il necessario “processo di riorganizzazione nazionale” per distruggere definitivamente un modello economico basato sulla centralità dello Stato (che, nonostante tutto, funzionava; tant'è vero che per un periodo l'Argentina fu pure una delle grandi potenze economiche del pianeta...) e consegnarlo nelle mani del capitalismo straniero neo-liberista. Per fare ciò, fecero letteralmente “sparire” 30.000 persone, torturandone brutalmente migliaia con la “picana” (un saldatore con cui ci si divertiva a lanciare scariche elettriche ai detenuti) ammazzandone altrettante, rubando e trafficando i figli neonati delle prigioniere che partorivano nei campi di concentramento e tante altre belle cose. “Terroristi, comunisti”, solita scusa.
Erano studenti (anche minorenni), sindacalisti, operai, avvocati, giornalisti indipendenti e/o di sinistra, preti, suore, vescovi (legati in qualche modo alle comunità di base, alla teologia della liberazione o che semplicemente cercavano di seguire il Vangelo e quindi non stavano di sicuro dalla parte dei militari). C'erano, sì, anche militanti armati: ERP, Montoneros, JP. Una piccola minoranza che comunque non era di certo paragonabile (né per mezzi, né per crudeltà) alla repressione dei militari o degli squadroni della morte di estrema destra.
Insomma: "terroristi, comunisti" che giustificavano una "guerra interna" per difendere "gli interessi nazionali".
Assieme ai repressori e agli industriali che sostenevano gli assassini al potere, c'erano persino dei preti che assistevano alle torture, terrorizzavano i prigionieri , cercavano di convincere i familiari o gli stessi prigionieri a "cantare" consolavano quei rari militari che ogni tanto cedevano, convincendoli che era necessario che torturassero e ammazzassero. No, non sono balle: è tutto documentato e provato.

Dopo 30 anni ci sono dei processi, finalmente, ma in questi 30 anni quei repressori, assassini e complici vari sono rimasti a piede libero e non solo: hanno mantenuto i loro posti, sono stati promossi, hanno continuato a decidere la direzione politica ed economica del paese. Con quali risultati? La famosa crisi del 2001 parla per me.

Due giorni fa, due di questi grandissimi bastardi sono stati condannati all'ergastolo. Magra consolazione, se poi ci aggiungiamo che sconteranno la pena agli arresti domiciliari nelle loro lussuose ville.

Un celebre giornalista argentino, Osvaldo Bayer (storiografo anarchico, esiliato nel '74 e sceneggiatore del film “La Patagonia Rebelde” vincitore dell'Orso d'Argento al festival del cinema di Berlino, che parla dei veri fatti accaduti negli anni '20 quando l'esercito argentino soffocò nel sangue gli scioperi dei lavoratori agricoli), che ho la fortuna di conoscere di persona e di cui posso anche vantare l'amicizia, ha scritto un articolo per il quotidiano argentino “Página/12”. E' titolato “le lacrime di Bussi”, uno dei condannati appunto, e ho deciso di tradurlo perchè alcuni passaggi mi sembrano validi anche per l'odierna situazione palestinese...


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Le Lacrime di Bussi

di Osvaldo Bayer

Da Bonn, Germania

Ancora lo stesso. O peggio. Se uno non fosse pessimista, lo diventerebbe. Basta leggere le ultime statistiche, gli ultimi studi, per domandarci per l'ennesima volta: in che mondo viviamo?

Ma basta con i prolegomeni. Andiamo ai fatti. La Banca Mondiale l'ha appena detto: un quarto della popolazione mondiale vive sotto la soglia della povertà. E il progresso? Qual è il progresso? E chi è povero? Per fare questa statistica l'organizzazione qualifica come povero chi guadagna meno di 1,25 dollari al giorno. Nell'Africa subsahariana, la metà della popolazione vive in condizioni di estrema povertà. D'altra parte, 850 milioni di esseri umani non sanno di cosa si ciberanno il giorno seguente. La metà sono bambini.

Saltiamo da quell'Africa alla Germania, uno dei paesi meglio organizzati economicamente al mondo. Certo, secondo il punto di vista di ciò che si intende per organizzazione. Uno studio sulla situazione economica dal 2004 fino ai primi sei mesi del 2008, realizzato dalla Fondazione Hans-Böckler, lo dice con queste parole: “L'impulso economico ha sorpassato i salariati, i pensionati e i poveri. I salari reali netti in questi due anni si sono visti ridurre del 3,5%. In cambio, i profitti delle imprese e dei suoi direttivi hanno avuto una “vera esplosione” (testuale). Sono passati nello stesso periodo dal 21,8 al 26.3%.

Da queste cifre passiamo agli Stati Uniti. Andiamo alle statistiche ufficiali che ha appena pubblicato il Washington Post. Secondo le stesse, “il tetto della povertà ufficiale per una famiglia di quattro membri è stato fissato a 21.203 dollari all'anno. Il numero di statunitensi che vivono sotto questa soglia di povertà è creciuto passando da 36.5 milioni di persone nel 2006 a 37.3 milioni nel 2007.

Un altro studio ufficiale, dell'Organizzazione Mondiale della Salute, pone il seguente esempio patetico che ci fa porre questa domanda: viviamo in un mondo razionale? Si segnala il caso della città scozzese di Glasgow, tipico Primo Mondo. Si è constatato che un bambino del quartiere povero di Calton ha una speranza di vita di 28 anni più bassa rispetto ad un altro del quartire aristocratico di Lenzie. E partendo dall'esempio incredibile di quei quartieri britannici, comincia ad analizzare il problema dei “paesi in via di sviluppo” come gentilmente li si definisce. Basta un caso esemplare: in Nigeria, un bambino su quattro muore entro i primi cinque anni di vita. In cambio, nei paesi del Primo Mondo, nei primi cinque anni di vita muore un bambino su 150. “La biologia non riesce a spiegarlo” dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma ci riesce la povertà, lo sfruttamento, la mancanza di mezzi, aggiungiamo. E qualcosa più incredibile ma vera, da ripetere: “I bambini di madri boliviane analfabete hanno un rischio di morire del 10%; quelli di madri istruite, hanno un rischio di morire dello 0,4%”.

Queste cifre dovrebbero essere insegnate in tutte le scuole del mondo e i mezzi di comunicazione dovrebbero informare e promuovere quotidianamente dibattiti su questi temi. Gli esseri umani, da bambini, dovrebbero imparare che questi problemi esistono e che la ricerca di una soluzione deve essere il fondamento dell'esistenza. Non risolverlo è cinismo e perversione.

Ma lo stesso giornale in cui leggo questi rapporti consegna una cartolina lussuosamente stampata che invita a conoscere i nuovi hotel di incredibile lusso che sono stati eretti nelle spiagge di Dubai, l'emirato arabo del petrolio. Tutto è di un lusso indescrivibile -che viene descritto con talento pubblicitario- e che è dedicato ovviamente a direttivi di grandi imprese mondiali e a tutti quelli che dispongono di molti soldi. In quest'anno si sono già inaugurati otto hotel di categoria feudale e molto presto altri dieci, tutti, ovviamente, cinque stelle. Si promette uno “Shopping Heigh light” in un “vero paradiso del comprare”. E' un linguaggio con saliva grata come in questa frase: “Chi ami l'individuale e vi speciale importanza alle boutiques personali, lui sì che raggiungerà il piacere totale a Dubai. Lì troverà la moda nobile e quella stravagante e una quantità enorme di accessori eccezionali” E dopo questo, i ristoranti con pietanze dagli “esotici aromi”. Tutto è di un lusso sopraffino e audace. “Shopping, suks e cultura”. Una trilogia che si converte nell'ultima pagina di “Sport, spiagge e wellness”.

Ecco. Per qualche motivo la giustizia argentina ha condannato il più bestiale e inferiore degli assassini pubblici, il nostro generale Bussi, all'ergastolo nel suo “country” (villa, n.d.t.). Restiamo nel tono.

Poco a poco le bellezze naturali e i tesori culturali si chiudono sempre più affinché vi arrivino quelli che possono e lo meritino in questa società. Nonostante si alzino i popoli con la loro infinita protesta. Nella stessa Argentina, arrivano gli hotel cinque stelle di fronte alle Cascate dell'Iguazú con vista diretta, affinché la gente del pro non debba disturbarsi. O la Quebrada de Humahuaca, quello scenario incredibile della nobiltà del passato e dell'autoctono, oggi depredato dall'avidità dell' “investimento” che distrugge solo per produrre soldi, soldi, soldi. Tutto si compra e si umiliano quelli che hanno vissuto secoli in quel silenzio e in quella nobiltà del restare e non del voler essere, come diceva il nostro gran antropologo Kusch quando confrontava le culture originali cone la cosiddetta “civilizzazione”.

O lo stupendo lago Posadas, nell'amata Patagonia, quel paesaggio che si vuole comprare per cercare profitti nonostante si avvelini tutto con il desiderio dell'avarizia. Come dice la gente che vive da secoli in quei paesaggi, improvvisamente arrivano con un foglietto firmato e dicono che appartiene loro tutto. Cercano l'oro, come i primi conquistatori. E per questo hanno un foglietto firmato dalle rispettive “autorità”.

Vado nella mia biblioteca e lo trovo. Sorrido. Lì, in un quadernino, ho i sogni di un socialista libertario. Alexander Berkman, un pensatore incredibile, un maestro della bontà e del dibattito, così tanto perseguitato e sempre così tanto attuale. Descrive la realtà con una sapienza più vigente che mai:

Supponiamo che tu e io e un gruppo di persone siamo vittime di un naufragio ma riusciamo ad arrivare ad un'isola ricca di ogni tipo di frutti. Ovviamente dobbiamo lavorare per raccogliere il cibo. Ma supponiamo che improvvisamente uno di noi dica che tutta l'isola gli appartenga e che nessuno di noi ha diritto nemmeno ad un boccone senza prima pagargli un tributo. Noi resteremmo perplessi, no? E scoppieremmo a ridere a crepapelle per tale stupida arroganza. Ma se costui avesse continuato a disturbare lo avremmo buttato al mare con tutta la giustizia. Supponiamo di più: che noi e i nostri antenati abbiamo coltivato l'isola e prodotto tutto ciò di cui avevamo bisogno. E improvvisamente arriva qualcuno che dichiara di essere proprietario di tutto. Cosa gli risponderemmo? Credo che nemmeno gli presteremmo attenzione. Gli diremmo che dovrebbe condividere con noi il lavoro per vivere lì. Ma supponiamo che costui insista col suo 'diritto di proprietà ” e ci mostri un foglio firmato da qualcuno sostenendo che tutto gli appartiene. Noi gli risponderemmo che è pazzo. Ma se lui avesse un governo come sostegno, vi ricorrerebbe per 'proteggere il suo diritto'. E allora, il governo invierebbe polizia e militari, che ci caccerebbe per difendere così 'diritto alla proprietà'. E diventerebbe in aeternum il 'proprietario legale'”.

Proprio così, Berkman ci descrive ciò che è successo nella storia dell'umanità. Come devono saperlo i popoli originari quando arrivarono i conquistadores con la croce sulle spalle!

In Argentina abbiamo nella nostra storia centinaia di casi. Il divenire patagonico forse è il caso più emblematico. E pochi giorni fa, in varie manifestazioni, si è cercato di non dimenticare quella storia della spoliazione e del cosiddetto “diritto di proprietà”. Si è compiuto il centenario de “La Anónima”, impresa fondata proprio cent'anni fa da Mauricio Braun e José Menéndez, padroni della terra, delle pecore, dello sfruttamento del rame, di finanziarie, delle comunicazioni navali e tutto il loro indotto. Epoca dei “liberali positivisti”. Il “diritto” alla proprietà. Nella cerimonia del centenario, nel locale del supermercato degli eredi dei citati Braun e Menéndez di Puerto Madryn, i cittadini hanno organizzato una manifestazione alla quale ha parlato lo scrittore patagonico Jorge Espíndola e hanno consegnato cento orecchie di gesso per ricordare il genocidio che i “proprietari” hanno compiuto contro i popoli originari del sud. I padroni di tutto pagavano ai cosiddetti “cacciatori di indios” una sterlina per ogni paio di orecchie1 di quegli esseri umani originari di quelle terre. Tutto un simbolo. Inoltre, i muralisti Chelo Candia e Román Cura hanno realizzato un dipinto murale di protesta in una parete inutilizzata, che però è stato prontamente coperto da “sconosciuti”.

Bambini affamati. Violenza nelle strade. Guerra in ogni angolo. Ricchezza smisurata e povertà umiliante. Un costante degrado. Ci resta soltanto piangere il nostro cinismo come Bussi, o immaginare un mondo come lo pensava Alexander Berkman, un'isola piena di futti per tutti?

Sì, lo riconosco, anche l'ingenuità esiste. Perché no? Anche se cominciassimo col dipigere un murales a Puerto Madryn e ce lo cancellino immediatamente. Accettare un mondo così è trattare di consolare le lacrime di Bussi.


1 Oscar Payaguala, un cantautore patagonico di origini Aonik'enk (uno dei popoli quasi sterminati a fine '800, conosciuti anche come Tehuelche), in una sua canzone accusa: “perché avete voluto tante orecchie, se non sapete ascoltare?”...

30 agosto 2008

Brevi

1- in questi giorni c'e' uno sciopero in atto a Gaza contro Hamas, organizzato dai lavoratori pubblici della Sanita'. Il ministro de facto della salute ha minacciato licenziamenti contro gli scioperanti.

2- le navi pacifiste Free Gaza e Liberty hanno lasciato Gaza e sono arrivate sane e salve a Cipro con a bordo studenti e malati palestinesi bisognosi di cure all'estero. Contrariamente alle aspettative, uscire e' stato molto facile e Israele non ha ostacolato in nessun modo il ritorno.

L'unica cosa che vorrei capire, e' qual e' stata la portata mondiale della missione Free Gaza nel suo complesso. Da quello che ho capito, la copertura dei mezzi di comunicazione e' stata molto scarsa...

3- i partiti palestinesi di sinistra (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, Partito Popolare Palestinese e Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina) si stanno incontrando in queste settimane per definire la nascita di un terzo partito che rompa la deleteria situazione di bi-polarismo creata da Fatah e Hamas. Il loro obiettivo e' quello di evitare una seconda Nakba (catastrofe, in riferimento alla prima, quella del 1948) ovvero la definitiva spaccatura della societa' palestinese e la divisione Gaza-Cisgiordania. "Sono i palestinesi che ce lo chiedono".
Glielo auguro (nonostante il precedente italiano dell'Arcobaleno che si e' concluso nella peggiore delle Nakba per la sinistra italiana. Per colpa loro...).


P.s.: gli avvenimenti piu' importanti, pero', non li ho ancora scritti. Lo faro' al piu' presto!

29 agosto 2008

Odio

Smanettando su internet, ho trovato commenti di altre persone che hanno visitato la Palestina di recente e mi sono stupito perché hanno visto cose che voi umani...
Ah no, quello era il replicante di Blade Runner. (Ma credo che anche qui avrebbe pronunciato le stesse parole) .

Dicevo: mi stupisce che abbiano notato cose che a me sono completamente sfuggite oppure che abbiamo interpretato in maniera diversa. Cerco di spiegarmi...

Loro dicono di aver visto molte svastiche disegnate sulle pareti (in particolare sul Muro), e che moltissimi palestinesi adorano Hitler e il nazismo perché hanno sterminato gli Ebrei. Affermano, inoltre, che i palestinesi sono apertamente antisemiti e odiano indistintamente tutti gli ebrei. Che i musulmani odiano tutti i cristiani e che i cristiani palestinesi sono degli islamofobi.
Che non vogliono compromessi perché basta vedere quante cartine della palestina ci sono dove Israele non è presente. Che adorano i terroristi, ama(va)no Saddam Hussein e venerano le immagini di militanti armati.

Cosa ho visto io:
Di svastiche, nemmeno l'idea. Non solo: la maggior parte dei palestinesi impegnati politicamente è di sinistra o addirittura apertamente comunista o socialista (ci sono forti simpatie per Cuba, Venezuela e i vari Che Guevara, Fidel Castro e Hugo Chávez). Dire che i palestinesi siano antisemiti è una banalità, perché sono semiti pure loro come tutti gli arabi (sarebbe come dare dell' "antiamericano" ad un latinoamericano: perché, cosa siamo noi? Non abitiamo forse nel continente americano? Non mi risulta che Cristoforo Colombo -maledetto lui, i Cattolicissimi re di Spagna e tutti i Conquistadores- siano sbarcati a New York o a Miami...).

Ho sentito sì parlare di nazismo ma per incolpare l'Occidente della situazione attuale: "Sono stati i nazisti a sterminare gli ebrei, non noi. Perché la Germania o l'Europa o gli Stati Uniti non hanno dato un pezzo dei loro paesi agli ebrei, visto che abitavano lì? Loro hanno commesso l'errore, dobbiamo pagarne noi le conseguenze?".

Ecco, nei campi profughi è già più probabile che qualche "nazistello" -se proprio vogliamo chiamarlo così- ci sia e proprio per quei motivi scritti sopra. Però, proprio nei campi profughi -che sono i più radicali proprio perché bersaglio quotidiano della repressione israeliana- qualcuno mi ha pure detto che chi manifesta queste simpatie viene subito trattato da idiota: "Non lo sai forse che i nazisti volevano solo gente bianca, bionda e con gli occhi azzurri? Guardati: tu forse sei così? Credi che a te non avrebbero fatto lo stesso?".

Odio verso tutti gli ebrei indistintamente? Nemmeno. Qui preferiscono dire "ebrei" e non "israeliani" soltanto perché i coloni sono solo ebrei, i soldati sono solo ebrei e il governo di Israele è formato solo da ebrei. E gli israeliani non sono tutti ebrei! Il problema del conflitto è accentuato dagli ebrei ultra-ortodossi, dalla destra religiosa conservatrice che va a braccetto con i "neocon" o "teocon" soprattutto di stampo statunitense ma anche Europeo. (Come altri, anch'io preferisco leggere "neo-con" alla francese... Dove "con" significa semplicemente coglione). Quella destra religiosa che è un grosso problema anche per lo stesso Israele, per gli stessi israeliani e addirittura per gli stessi ebrei.
Se i palestinesi odiassero così tanto gli ebrei, dovrebbero scriverlo sui muri (magari lo fanno anche ma io non lo capirei, questo è vero) o disegnare Stelle di Davide sbarrate, boicottare qualsiasi loro prodotto, ecc. I Latinoamericani che odiano gli Stati Uniti e che sono la maggioranza, non perdono tempo e lo dimostrano sempre e ovunque. Cominciando dal fatto di chiamarli yankees (o yanquis, più spagnoleggiante) o gringos (termine coniato dai messicani che significa "green go" ovvero "verde -militare statunitense- vattene") e non "americani". Avrete notato che lo faccio anch'io... Nel mio caso, per quasi tutta la mia vita ho odiato senza tregua gli stati uniti e gli statunitensi. Finché mi sono accorto che quello era solo uno stupido pregiudizio e che di statunitensi eccezionali ce ne sono a milioni. Però è stato un processo lungo e difficile...
Non ho visto le stesse cose qui. Al massimo contro Bush, quello sì.

Però, ecco, sempre nei campi profughi gli adolescenti nutrono i maggiori risentimenti. Mi raccontava la mia insegnante di arabo (che, ricordo, è una rifugiata) che vicino al campo di Aida pochi anni fa sorse il grosso insediamento di Gilo. E' dentro i confini della "linea verde" (quindi in territorio palestinese) ma è rimasto fuori dal Muro perchè Israele ora lo considera parte di Gerusalemme (in realtà la zona è parte di Betlemme. Era...). Una volta costruito il Muro, ovviamente il risentimeno è cresciuto e i ragazzini odiano qualsiasi cosa che arrivi dall'altra parte. Dice la mia "prof" che addirittura cercavano di ammazzare gli uccellini che arrivano da Gilo: "sono uccelli israeliani".
Se Gilo non esistesse, quegli uccellini starebbero ancora volando. Certo che quei ragazzini hanno sbagliato: che colpa hanno gli animali in questa assurdità? Però sarebbe da chiederlo anche ai coloni ebrei: loro, con i fucili di precisione, ammazzano capre e pecore palestinesi. (O, se va bene, gliele rubano).

Se un qualche flebile e traballante germoglio di pace spunta ogni tanto dall'arido suolo di Palestina, ci pensano prontamente le ruspe e i bulldozer israeliani a spazzarlo via costruendo l'ennesimo insediamento illegale, che sarà abitato da coloni estremisti. E, guarda caso, questi ultimi sono quasi sempre bianchissimi e ricchissimi ebrei statunitensi. (Quando mi diranno di un colono nero ebreo etiope o di origini arabe, allora crederò un po' alla presunta democrazia israeliana).


I musulmani odiano i cristiani? In oltre un mese e mezzo nessuno mi ha mai mostrato odio. E io
ho sempre detto apertamente di essere cattolico. Ci sono un sacco di chiese qui, e nessuno le tocca. Sono stato ad un incontro di autorità religiose islamiche e di una ventina di presenti solo uno ha espresso forti risentimenti verso ebrei e cristiani (vedi "Jenin"). Credo che sia normale che ci sia qualche idiota, come da noi ci sono preti cattolicissimi come Badget Bozzo o quelli che fanno le messe in latino per i leghisti. O vescovi, cardinali e nunzi apostolici amiconi di dittatori e generali, come gli alti prelati argentini durante l'ultima dittatura, che andavano a prendere il té con i generali golpisti, assistevano compiacenti alle torture dei detenuti illegali e davano la comunione agli assassini delle squadre della morte. Tutto alla luce del sole, con il Vaticano compiacente, guidato da papa Giovanni Paolo II, sì, proprio lui (che ha dovuto fare un passo indietro perché era troppo scandalosa la posizione della Chiesa che, se non sosteneva apertamente quanto accadeva, nemmeno condannava).

Cristiani islamofobi? Se avessero tanta paura, non ostenterebbero crocifissi e statue di madonne e San Giorgio ovunque. I loro negozi sono mescolati con quelli musulmani e vendono senza problemi alcolici; le donne cristiane girano tranquillamente per strada senza velo, con le maniche corte e le gonne; addirittura ci sono più chiese che non moschee. E ricordo che comunque sono tutti palestinesi, per cui si trovano nella stessa barca.
Ho chiesto ad alcuni musulmani cosa pensano dei cristiani e mi hanno risposto che sono integrati ma a volte tendono a "tirarsela un po'" perché hanno più soldi dei musulmani. Una cosa positiva che dicono di loro i musulmani, è che fanno più comunità e sono molto più solidali fra loro che non i musulmani. Per cui, in tempi difficili, i cristiani se la passano un attimo meglio grazie alla solidarietà.
Non ho ancora avuto modo di parlare con arabi cristiani: però appena lo faccio riporterò i loro pensieri. Chissà, forse avranno un punto di vista completamente diverso.

Le cartine della Palestina raffigurano ovviamente tutta la Palestina Storica e non solo la striscia di Gaza e la Cisgiordania. Quella è la Palestina. Cisgiordania e Striscia di Gaza sono soltanto dei pezzetti, frutto della guerra del '48.
Anche Israele usa le stesse cartine per raffigurare il proprio stato, includendo Striscia di Gaza e Cisgiordania. Solo che in questo caso c'è una volontà politica più forte: quando dicono che lo stato palestinese è la Giordania si capisce benissimo cosa intendano dire.
La soluzione dei "due stati" sembrerebbe la cosa più semplice da fare ma in realtà è impossibile che si riesca a realizzare. Credo che pensare alla soluzine di un unico stato binazionale, laico e democratico sia l'unica soluzione possibile. E molti palestinesi stanno cominciando a sostenere questa idea.

I palestinesi amano i terroristi? "Terrorista" è una definizione politica, data dal nemico. Se c'è una parola che manca di obiettività è proprio terrorismo.
Anche i partigiani erano terroristi, agli occhi di nazisti e fascisti. Anche Che Guevara era un terrorista secondo gli Stati Uniti (ma, guarda caso, solo dopo che Cuba si schierò con l'Unione Sovietica: prima, infatti, Washington guardava con una certa simpatia anche Fidel Castro!).
I militanti armati palestinesi non sono molti, ora ancora meno. Non esiste un esercito palestinese: chi, quindi, può difendere la Palestina da un'azione militare israeliana?
E' ovvio, quindi, che i "martiri" vengano adorati: secondo la gente, sono morti per la causa palestinese. (Una cosa che mi viene in mente solo ora, è che di solito noi associamo la figura dei "martiri" ai musulmani. Sarebbe interessante sapere se ci sono o ci sono stati anche palestinesi cristiani militanti armati. Penso di sì ma al momento non ho nulla per provarlo o smentirlo. Indagherò...).

Quello che non posso accettare, ovviamente, è che questi militanti colpiscano i civili: i suicidi negli autobus o nei luoghi affollati sono semplicemente stupidi. Se una guerra deve essere combattuta, che si combattano i soldati, come dice il diritto internazionale. Colpire i civili e le infrastrutture civili: questi sì sono atti di terrorismo. Così come anche il lancio di razzi qassam: sono contro il diritto internazionale perché sono talmente scassati che non è possibile definirne la traiettoria e quindi possono colpire tranquillamente anche i civili.
Però, ritengo sia peggiore il terrorismo esercitato dai coloni e dalle forze di occupazione israeliane: è un terrorismo quotidiano, un'umiliazione continua, finalizzati solo a rendere impossibile la vita alla gente. Quali risultati può produrre una cosa del genere? Per un po' la puoi sopportare, facendo dell'apatia l'unica arma per resistere (visto che tutte le altre non funzionano). Finché non dici basta, e allora hai solo due soluzioni: o scappi lontano lontano, o la fai finita. Ma in quel caso cerchi di portarti qualcun'altro all'inferno...
Io non li giustifico: cerco solo di dire che bisogna guardare ogni dettaglio del quadro e guardarlo nella sua interezza. Fermarsi ai particolari non aiuta a capire il tutto.

Saddam Hussein? Certo. E' vero, in passato era adorato. Per la sua retorica anti-Israeliana. E perché la propaganda iraqena del partito Ba'ath (che era panarabista e laico, con una specie di ideologia socialista, almeno alle origini) sosteneva le famiglie dei militanti palestinesi.
Non dimentichiamoci che negli anni '80 Saddam Hussein era il campione della libertà, pagato profumatamente dagli Stati Uniti. Poi, però, fece il passo più lungo della gamba e da un giorno all'altro passò ad essere un "terrorista". Però le sue politiche sono sempre state le stesse...
I manifesti che ritraggono Saddam ci sono ancora in giro, schiariti dal tempo e dai raggi del sole. Segni di un passato che è stato. Potrebbero rimuoverli? Anche, ma perché dovrebbero? Il problema, in fondo, è degli Stati Uniti.
E' come se qualcuno venisse a criticarmi perché ho un poster di Fidel Castro: a voi che ve ne frega? Se gli Stati Uniti lo considerano un terrorista, è un problema loro, non mio. Non considero certo Fidel un dittatore, e nemmeno Cuba uno "stato canaglia". Io di certo non seguo la dottrina di Washington. E anche ora, che siamo in clima di elezioni, non sto certo trepidando perché vinca Barack Obama. Lui sarà -forse- il prossimo presidente degli Stati Uniti, non certo il mio. E comunque non sarà lui a cambiare il mondo. Non mi aspetto nulla di buono dai governi yankee, mai. Nemmeno se a guidarli ci fosse Gandhi e la diffidenza è giustifica: chi comanda sono le multinazionali che stanno dietro, i gruppi di pressione (o lobbies) e l'esercito. Tu, presidente degli Stati Uniti, al limite puoi mitigare il loro potere ma non certo eliminarlo. Altrimenti non saresti nella Casa Bianca...


Sì, ho divagato e non mi sono nemmeno accorto che ho paragonato Saddam Hussein a Fidel Castro! No, non era mia intenzione. Saddam Hussein era una merda da capo a piedi, anche quando l'Occidente non lo considerava un "tiranno". Che fosse nemico degli Stati Uniti non ne fa automaticamente un leader da apprezzare, tutt'altro. Per me, Saddam è da considerare alla stregua di dittatori come Stalin, Pol Pot, Henver Hoxa, Ceausescu, Somoza, Batista, Videla, Hitler e Mussolini (e tanti, tanti, tanti, putroppo tanti altri). Ciò che li accomunava non rea solo il fatto di essere "nemici della libertà" o "nemici della democrazia": erano oppressori di popoli, a cominciare dai loro...


P.s.: che io stia dalla parte dei Palestinesi è inconfutabile, no? Però, proprio per quello che ho appena scritto, non significa automaticamente che io sia contro Israele o contro gli ebrei. E nemmeno che accetto tutto quello che viene dai Palestinesi, indistintamente... Spero si sia capito.

Il mondo è variegato, usa moltissimi colori e le sfumature e i colpi di luce possono trasformare ogni dettaglio.
E io, che ho una morosa pittrice, lo so benissimo! ;-)

LUCE --- Jenin, Hebron

In arabo luce si dice "Noor" (e tra l'altro, koh-i-noor, "montagna di luce", è la parola usata per chiamare il diamante) ed è anche un nome di donna, molto popolare.

Quando arrivai a metà luglio, il campo estivo con i bambini del CCRR stava volgendo al termine. Mi ricordo che una sera Alex, l'animatrice statunitense in procinto di tornare a casa, era in vena di ricordi e parlava della sua prima esperienza palestinese: i matrimoni, la visita ad una famiglia beduina, ecc. Tra una risata e l'altra, disse una cosa che sul momento non capii e alla quale non diedi molta importanza.
Disse, trovando conferma nei presenti, che di sera tutti i palestinesi si chiudono in casa e si piazzano davanti alla TV per guardare "Noor".


Più di un mese dopo (qualche giorno fa), leggo un articolo de Il Manifesto del 20 agosto che parla proprio di Noor. E lo stesso giorno, anche l'agenzia di stampa palestinese Ma'an News parla di Noor.

Ma chi cavolo è sta Noor? La protagonista di una telenovela. Che però fa scalpore, molto scalpore.
Si tratta di una produzione turca (che però in Turchia uscì col nome di "Gümüş", argento, e fu un fiasco colossale) che ha sorpreso gli stessi turchi, i quali non avrebbero mai e poi mai pensato di aver fatto esplodere una specie di "bomba" sociale la cui onda d'urto si è propagata a tutti i Paesi Arabi.

Dato che posso vantare uno stimato collaboratore turco (in realtà si tratta di un vecchio e caro amico, ex coinquilino ai tempi dell'università!) , gli chiesi se sapesse dirmi qualche cosa di più. In effetti non molto: confermò che Gümüs è stato un flop senza gloria. E che Istanbul è stata improvvisamente invasa da migliaia di turisti Sauditi che non sono passati inosservati...


Ecco, a questo punto posto l'articolo de Il Manifesto, firmato da Marco D'Eramo, che spiega meglio di me il fenomeno "Noor", che io qui ho cominciato a vedere solo da poco notando i numerosi cartelloni e poster che ritraggono i protagonisti.
Ah, sia chiaro che ho cominciato a vedere da poco il fenomeno, non la telenovela. Ci tengo alla reputazione! ;-)

Buona lettura!

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Dalla Turchia con amore. Il serial tv che fa scandalo
Il mondo arabo sconvolto da «Noor», serie acquistata dalla Siria.
Rispetta le tradizioni islamiche, ma trasgredisce e seduce

Marco d'Eramo

È incredibile come persino la trasmissione più melensa e più banale, possa scatenare controversie accanite, provocare divorzi, suscitare la condanna del clero. È quel che sta capitando nel mondo arabo, dall'Algeria al Bahrein, a causa di un serial tv turco. La serie era uscita in Turchia nel 2005 sotto il titolo Gümüs («Argento»), ma all'epoca era stata un flop clamoroso. Quest'anno la stessa serie è stata comprata dalla ditta siriana Sama Art Production doppiata in arabo, con il titolo Noor («luce») , dal nome della protagonista, e ha ottenuto invece un successo senza precedenti.
Trasmessa dalla saudita Middle East Broadcasting Company (Mbc), la serie si concluderà il 30 agosto, alla vigilia del mese di digiuno (Ramadan), ma solo dopo aver sconvolto per quasi cinque mesi le vite di milioni di famiglie arabe. In Algeria, «in tutti i luoghi di lavoro e negli autobus, Noor si è imposta come tema di conversazione dominante soprattutto tra le donne» (Le Quotidien d'Oran). In Arabia Saudita (28 milioni di abitanti), ogni sera Noor è seguita da 4 milioni di persone, quasi tutte spettatrici. In parte per l'avvenenza del protagonista maschile (Mohannad) interpretato dal 24-enne attore e modello turco Kivanc Tatlitu che nel 2002 aveva vinto il premio per il miglior modello del mondo: biondo e con gli occhi azzurri, barba di pochi giorni, è diventato l'idolo di miriadi di donne islamiche che non hanno esitato a scatenare le ire di coniugi, fidanzati, padri e fratelli, mettendo la sua foto come immagine del display del proprio telefonino o appendendo il suo poster nella propria camera.
I patres familias che avevano sequestrato il televisore per impedire alle loro donne e figlie di guardare il serial sono stati spesso dribblati con spedizioni serali nelle case di parenti maxischermati. Contro l'infatuazione per Kivanc Tatlitu i maschi arabi le hanno provate tutte, hanno cercato persino di diffondere la voce che è gay. Una vignetta del quotidiano saudita Al Riyadh mostra un uomo dall'aspetto insignificante che entra nello studio di un chirurgo plastico con la foto di Mohannad. E ora circolano barzellette tipo: una turista araba in Turchia si perde il marito; quando lo descrive alla polizia il figlio esclama: «Ma papà non è così!». «Zitto - gli sussurra la mamma - potrebbero perfino darmi Mohannad». D'altronde negli ultimi mesi Mohannad è stato il nome più imposto ai neonati dal Maghreb alla Fertile Mezzaluna, mentre molte femminucce si sono viste affibbiare «Noor» dal nome della quasi altrettanto bella protagonista, di cui - ed è curioso - non sono riuscito a trovare in nessun giornale il nome dell'attrice che la impersona. Ma anche gli uomini non hanno saputo sottrarsi alla malia, tanto che molti locali di chicha - narghilé - si sono attrezzati di maxischermi tv per consentire ai propri clienti di fumare senza perdersi un episodio.
Nei blog, le ragazze appassionate di Noor non nascondono la loro ammirazione per il biondo attore-modello, ma scrivono che la serie le avvince soprattutto perché è una bellissima storia di amore. Poiché la serie è composta da più di 140 episodi, era impossibile ricostruire tutta la storia: mi sono affidato ai resoconti (spesso contraddittori) dei corrispondenti in Medio oriente o dei critici televisivi sulla stampa internazionale (da The Houston Chronicle, a El Pais, al Bharain Times, al Washington Post).
La protagonista, Noor, viene da una famiglia povera, ma è riuscita a diventare disegnatrice di moda. Un suo ricco zio le combina un matrimonio con Mohannad di cui lei era segretamente innamorata da ragazzina. Ma il bel Mohannad non la ama perché à ancora innamorato di una prima moglie (Nahan) che giace in coma irreversibile, al punto che la prima notte di matrimonio, Mohannad si dà. Ma lei non demorde e cerca di farlo innamorare, nonostante lui sia già padre di un figlio, e malgrado la prevedibile ostilità e perfidia della suocera. Noor è gelosa, anche perché a un certo punto Nahan esce dal coma irreversibile. Per di più, da bambina Noor è stata rapita a mano armata, minacciata di stupro e ha dovuto interrompere una gravidanza.
Più che la storia in sé però quel che appassiona le spettatrici è il clima e l'ambiente della storia. La coppia è ricca e vive nel mondo dorato. Tanto che la villa con vista sul Bosforo in cui è stato girato il serial è diventata meta di devoto turismo da parte delle donne saudite: affittata da un tour operator, è ora museo temporaneo della serie. L'anno scorso dall'Arabia erano giunti in Turchia 41.000 turisti; quest'anno il Turkish Daily News calcola che saranno più di centomila, e tra loro c'è anche Hissa al Shalam, moglie del re Abdullah, You Tube diffonde immagini che la mostrano mentre fa shopping nei mercatini di Istanbul.
Ma è soprattutto il tipo di società musulmana rappresentata in Noor a deliziare le spettatrici. Da un lato rispetta gli aspetti tradizionali dell'Islam: i protagonisti osservano il digiuno del Ramadan e sono sposati grazie a un matrimonio combinato. La censura saudita ha operato tagli severi: non si vedono baci, né scene d'amore, né nudità: gli episodi originali duravano 80 minuti, quelli della versione trasmessa a Riyadh solo 45. Però le donne non portano veli, preferiscono jeans attillati, braccia nude e persino scollature, non sono mai mostrate mentre pregano, mentre ogni tanto protagonisti e comprimari bevono un drink, hanno rapporti sessuali fuori dal matrimonio, e una cugina ha persino abortito. In questo senso, Noor è proprio un serial della nuova Turchia del premier Recep Tawip Erdogan e del suo Partito della Prosperità: una società maomettana, ma molto più aperta di quella saudita, un Islam moderno, dove le donne fanno lavori di prestigio (disegnatrici di moda), escono di casa, hanno storie, viaggiano. Alle spettatrici arabe parla di una famiglia musulmana che vive nel mondo musulmano, solo in un Islam diverso. Al suo impatto contribuisce la lingua che non è l'arabo classico di preghiere e notiziari televisivi, ma la lingua parlata siriana, quasi un dialetto, che rende la vicenda più vicina alla vita di tutti i giorni. In questo senso Noor è un serial assai furbo, conservatore perché sottolinea l'importanza della famiglia ed esalta l'amore tradizionale, ma nello stesso tempo è trasgressivo. La trasgressione all'interno di una società islamica è quel che fa la differenza tra le telenovelas brasiliane e messicane di cui sono inondati i canali tv arabi e invece questa serie che suona nello stesso tempo familiare ed esotica. Come scrive in Algeria Le quotidien d'Oran, Noor «mostra una società tollerante, che però rispetta i limiti».
In particolare in Arabia saudita quel che più colpisce le donne è il rispetto del marito per la moglie, dell'uomo per la donna. In una società in cui una donna non può uscire di casa se non accompagnata da un parente maschio, molte donne per la prima volta scoprono quel che un marito o un fidanzato potrebbe darle, e non le dà: affetto, complicità, sensualità corrisposta. Inoltre la serie solleva il pesante velo di ipocrisia che ricopre queste società, in cui gli adulteri sono frequenti, ma rigorosamente tabù, in cui le donne spesso abortiscono il frutto delle loro relazioni extraconiugali, ma nessuno ne parla, come se non esistessero. Per la scrittrice e attivista delle donne Fawyaza Abu Khalid, di Riyadh, Noor «apre gli occhi alle donne saudite. Gli uomini si sentono minacciati. È la prima volta che le donne dispongono di un modello di la bellezza maschile e di passione virile e che possono compararlo con i propri uomini. Per la prima volta si sono rese conto che i loro mariti non sono proprio gentili, e che loro non sono trattate come dovrebbero, e che c'è un'opzione là fuori». Una conferma di questa tesi viene da Hamed Bitwai, avvocato, predicatore e militante di Hamas nella città di Nablus nella West Bank: «Questa serie collide con la nostra religione islamica, i nostri valori e tradizioni».
Anche se con ritardo, le gerarchie religiose hanno reagito, e per una volta hanno messo d'accordo sunniti e sciiti. Forse su mandato del Sommo Concilio degli Studiosi Religiosi, l'autorità che orienta il governo in materia di religione, all'inizio di agosto il gran muftì saudita, massima autorità sunnita, lo sceicco Abudl Aziz Al Asheik, ha lanciato una fatwa (editto religioso) che proibisce di guardare la serie: «È malefica, distrugge l'etica delle persone e va contro i nostri valori.» «La tv che la trasmette si pone contro Dio e il suo Profeta». Nello stesso tempo il gran muftì del Bahrein, lo sceicco sciita Isa Passim, si chiedeva: «A che si deve la popolarità della serie chiamata Noor che conduce al peccato? Non è forse dovuta a una irrisione di Allah?».
È interessante notare che il clero sannita o sciita non ha mai condannato le telenoverlas sudamericane che sono molto più osées di Noor. Ma è dubbio che sul serial turco le condanne religiose abbiano lo stesso effetto che ebbero per esempio sul reality show Il grande fratello che non è stato mai diffuso dalle emittenti saudite o sulla serie satirica Tash ma tash sulla vita quotidiana in Arabia saudita la cui emissione fu bloccata... Da un lato, la condanna arriva troppo tardi, quando la serie è quasi terminata, dall'altro la sua popolarità è ormai acquisita e si tratterebbe di chiudere le stalle quando la mandria è già scappata.
Altra storia è sapere quanto durerà e quanto profondo sarà l'effetto sulle società arabe di Noor che, come tutto ciò che pertiene allo show business, rientra nel regno dell'effimero. Tanto per cominciare, alla vigilia del Ramadan, su Mbc a prendere il posto di Noor sarà Bab al Hara, che trasuda nostalgia per la vita tradizionale araba.
Ma nel frattempo l'effetto di Noor sulle società islamiche può essere sintetizzata nell'immagine di un negozio di vestiti a Gaza, in Palestina, il Jaro's Store, che fa affari d'oro vendendo copie delle camicette indossate dalle protagoniste della serie, incluso un top metallico sbracciato che però le pie e devote palestinesi indosseranno sopra un body a maniche lunghe.

(Mohannad e Noor)

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JENIN

Ieri (beh... ormai l'altroieri) con Jonas e Noah siamo andati nella città settentrionale di Jenin, il "polo agricolo" della Cisgiordania, per un incontro di sheikh (autorità religiose islamiche, diciamo dei preti musulmani) nell'ambito del progetto "Inter-faith" (interfede). Lo scopo del progetto, al quale partecipano anche altre ong sia locali che straniere (tedesche), è quello di far dialogare i religiosi delle principali comunità sia al loro interno che fra di loro, assumendo che tutte e tre le religioni siano portatrici di un forte messaggio di Pace. Contemporaneamente al CCRR, infatti, stanno lavorando anche altre realtà che appoggiano preti cristiani e rabbini ebrei.
Per quanto riguarda questa riunione interna alla fede musulmana, ce n'era già stata una a luglio, a Nablus.

Jenin è una delle città palestinesi che più ha sofferto l'occupazione israeliana. Durante la 2° Intifada fu assediata e l'esercito occupante quasi rase al suolo alcune sue aree (campi profughi, in particolare: si accaniscono sempre contro i campi). L'esercito provocò molti morti e tantissimi nuovi rifugiati. Per avere un po' l'idea della devastazione, consiglio di guardare il docu-film "Jenin Jenin".

Una delle conseguenze di quell'assedio, dal punto di vista politico e sociale, è stata la radicalizzazione degli abitanti. Da un'altra prospettiva, invece, la fiera Jenin è diventata ancora più isolata. Cominciando dalla difficoltà che c'è per raggiungerla o anche uscirne. Almeno per i palestinesi, ovviamente. Check point a non finire, tempi di attesa biblici, code e perquisizioni snervanti, umiliazioni quotidiane, strade distastrate che dovrebbero essere quelle principali, insediamenti ovunque che restringono via via le aree disponibili, accessi vietati a questa o a quella strada e via dicendo.
Non vado oltre: è da un mese e mezzo che dico le stesse cose.

L'unica cosa che aggiungo è che se io in un mese e mezzo mi sono rotto e demoralizzato, cosa dovrebbero dire i Palestinesi che questa situazione la vivono da 60 anni? Me lo chiedo tutti i giorni e, come tutti i giorni, li guardo e mi rispondo da solo: ormai sono nella più totale apatia. Credo che quasi nulla ormai li può smuovere o sorprendere.
L'altro giorno parlavo appunto con la mia insegnante di arabo a proposito delle barche arrivate a Gaza. "Quali barche?". Ecco...

Mi ha raccontato che ormai tutte queste cose non interessano più i palestinesi. Si sono quasi abituati al Muro, all'occupazione, alle umiliazioni, al fatto di essere trattati da terroristi, di essere presi in giro dai loro governanti e dai paesi arabi, alle restrizioni, agli insediamenti illegali, alla separazione ormai irreparabile tra Gaza e Cisgiordania. Non si scandalizzano per nulla, non si preoccupano più di niente, non si appassionano a nulla.
Fino a qualche anno fa, invece, si riversava nelle strade quando arrivavano i soldati o celebravano con rabbia l'ennesimo martirio (sono considerati "martiri" tutti gli uccisi in combattimento e gli attentatori suicidi). Dopo un po', invece, hanno cominciato a dire: "ah, un altro martirio? ok, vabbé"...


L'incontro degli sheikh ci ha lasciato un po' sorpresi. Evidentemente ci deve essere stata qualche falla nella comunicazione. Il tema dell'incontro era "Come le altre religioni vedono l'Islam e come noi crediamo che le altre religioni vedono l'Islam". Molti dei partecipanti erano sospettosissimi: perchè questo titolo, perchè questo incontro, perchè, perchè, perchè. Il muftì (massima autorità locale, un po' un "vescovo") cercava di avviare il dibattito, spiegando la necessità di un simile incontro. Tuttavia, piuttosto che seguire il filo conduttore dato dal titolo, gli sheikh hanno preferito spaziare dalla storia alla politica, dalle crociate a Saladino, da Maometto a Bin Laden.
Se no ci fosse stato Jonas che traduceva, ovviamente non sarei stato capace di seguire.
Bene o male tutti hanno cominciato col ricordare che il Corano parla delle "religioni del Libro" (ovvero, oltre ai musulmani, anche Cristiani ed Ebrei) e che è dovere di ogni musulmano proteggerli. Altri dicevano che l'Islam soffre molto la mancanza di stati veramente islamici, perché sotto uno stato guidato dalla legge islamica, pace uguaglianza e giustizia sociale sono garantite.
Qui iniziano i problemi: a chi sostiene che "la posizione del Corano è chiara", alcuni ribattono che non lo è affatto, altrimenti non ci sarebbero in giro per il mondo persone come Bin Laden che giustificano la loro guerra personale come un atto di fede. A questo punto, il dibattito si accende. Immancabile, viene fuori lo scontro Ovest vs. Est, in cui l'Est (l'Islam) è la vittima di tutti gli attacchi. I musulmani si sentono attaccati e portano esempi concreti: Iraq, Afghanistan, Iran, Palestina... E' l'Ovest cristiano che attacca, che cerca di distruggere l'Islam. Quindi, per capire cosa fare, occorre guardare al passato.
Qualcuno tira fuori Saladino, il conquistatore kurdo che liberò la Terra Santa dai Crociati. Saladino, dicono, diede il giusto esempio: liberò la Palestina ma, contrariamente a quanto fatto dai crociati che uccisero migliaia e migliaia di persone, Saladino non si accanì contro i Cristiani. Al'epoca, seguendo i dettami del Corano, Saladino ebbe due opportunità entrambe legittime: o tratare il nemico allo stesso modo in cui aveva trattato i musulmani, o perdonarli. Saladino scese il perdono.
Proprio su questa cosa il dibattito si infuoca: uno sceicco sostiene in maniera infervorata che Saladino sbagliò e che avrebbe dovuto rispondere con le stesse armi e la stessa violenza. Se Cristiani ed Ebrei attaccano, non godono più della protezione del Corano e si trasformano in infedeli che devono solo essere combattuti. Altri gli rispondono altrettanto ferocemente dicendo che la qualifica di "infedeli" la davano anche i Crociati ai musulmani e che quindi bisogna evitare di fondere Islam e Politica. "Islam è politica", ribatte il primo.

Quasi tutti, però, sono completamente contrari. Quello che ho notato nei discorsi fatti -basandomi però solo sulle traduzioni, confermate però anche da Noah- è che c'è questa tendenza fra gli arabi a non saper scindere fra politica e religione, fra Occidente e Cristianesimo, fra Stati Uniti e Occidente.

Gli Stati Uniti, sotto il governo Bush, hanno scatenato una guerra internazionale al "terrorismo". Stessa cosa ha fatto Bin Laden. Bush e la sua cricca sono dei fanatici pazzi miliardari che appartengono alla setta evangelica dei cosiddetti "Cristiani rinati" (ovvero dei coglionsi una religione di sana pianta). Che demonizza l'Islam ma sta distruggendo la chiesa cattolica in America Latina (quella Chiesa veramente a fianco della gente, erede delle comunità di base e della Teologia della Liberazione).
Bin Laden e la sua cricca sono dei fanatici pazzi miliardari (e, che strano, soci d'affari nel petrolio con Bush) che appartengono ad una cosa che loro ritengono essere l'Islam. Sputano minacce contro i crociati ma nessuno di loro è un'autorità religiosa (fanno finta di esserlo). Però i primi che ammazzano sono proprio i musulmani.
E' da prima del 2000 che ci rompono le palle eppure, con tutta la tecnologia di questo mondo e tutti i miliardi di dollari in tasca, il saudita Bin Laden non ha fatto uno striscio agli Stati Uniti: le Torri Gemelle se le sono tirate giù da soli (o, quanto meno, non hanno fatto assolutamente nulla per impedirlo, dato che lo sapevano cosa stava per accadere), e Bush ha trivellato con bombe di ogni tipo sia l'Afghanistan che l'Iraq ma i signori Bin Laden, Al-Zawahiri e il mullah Omar che scappa sul garelli sono ancora a piede libero.
Ma la volete smettere di giocare? Datevi appuntamento -tanto vi conoscete benissimo- e per favore scannatevi tra di voi, che ne abbiamo piene le scatole delle vostre balle...

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HEBRON

Stamattina breve esperienza a sud di Hebron. Con Noah siamo andati all'ufficio locale del Ministero dell'Educazione (una specie di Provveditorato) giusto per fare un po' di public relations in vista della ripresa delle scuole e quindi dei corsi del CCRR per studenti e insegnanti.
Tra una tazzina di caffé al cardamomo e un bicchiere di té aromatizzato al timo, abbiamo passato una piacevole mezz'oretta di relax. Io almeno sì, perchè l'arabo non lo parlo ancora così bene da poter sostenere una conversazione o seguirne una, he he!
Comunque, a parte questo, l'altro motivo della visita era vedere da vicino una delle zone più interessate dagli insediamenti israeliani. Fino a pochissimi anni fa, la strada che collega Hebron a Betlemme era chiusa. E' stata riaperta da poco ma sembra di essere in Israele da quanti coloni e insediamenti ci sono: i cartelli lungo la nuova e ben curata strada sono tutti in ebraico, ci sono molti alberi e campi coltivati, villaggi nuovi di zecca...
Ah, giusto: mancavano i palestinesi. Sì, ci sono, ma fuori dal bel quadretto: villaggi scassati, strade di accesso sbarrate o interrotte da mucchi di terra e spazzatura (piazzati dai soldati israeliani), decine di torrette di osservazione, check points volanti, resti di antichi villaggi (qualche pietra, ormai), qualche asino che bruca, bancarelle scassate di frutta e verdura lungo la strada.
Agli abitanti dei villaggi palestinesi, totalmente isolati e ai quali si accede solo da una strada controllata dall'esercito, è precluso l'uso della strada principale. Queste difficoltà logistiche (oltre a tutte le altre) rendono difficile anche lo sviluppo dell'economia.
Ho chiesto a Noah come mai, con tutti i soldi che arrivano dalla cooperazione internazionale, la situazione dei Palestinesi non migliora. "Come può migliorare se ogni volta che viene costruita un'infrastruttura arrivano i soldati e la distruggono. Sono stati spesi milioni e milioni di euro provenienti dall'Unione Europea per rifare le infrastrutture della Cisgiordania e Gaza nel 2000. A Gaza è stato costruito un aeroporto, a Betlemme hanno rifatto mezza città. Per cosa? pochi mesi dopo, con la Seconda Intifada, l'esercito distrusse tutto".
Già.
E l'economia? "Israele controlla l'economia palestinese. Non ci sono aziende palestinesi in grado di competere con quelle israeliane: non hanno la tecnologia e anche se ce l'avessero, la mancanza di infrastrutture e di vie di comunicazione adeguate non permetterebbero lo sviluppo del commercio. Hebron è un buon esempio: era la città industriale della Palestina, oggi quasi tutte le industrie sono chiuse o sono state chiuse".
I prodotti israeliani, poi, godono di incentivi da parte del governo e molto spesso sono anche più economici e di qualità migliore rispetto a quelli palestinesi (ammesso che ci siano degli equivalenti palestinesi). L'ANP non ha la forza per introdurre tariffe a protezione dell'industria palestinese. Se questa volesse svilupparsi e acquistare tecnologia o materia prima all'estero, allora sarebbe Israele con la sua pesante burocrazia a uccidere ogni tentativo di ripresa: confisca dei carichi, ispezioni lunghissime nei porti (che ritardano le consegne, facendo deperire la merce o facendo lievitare le spese di stoccaggio), tariffe.
E' ovvio, quindi, che la gente alla fine compra prodotti israeliani. Boicottarli a volte è impossibile.
All'agricoltura non va certo meglio: i contadini israeliani (e soprattutto i coloni) hanno accesso illimitato (e svergognato, direi) all'acqua e alla tecnologia. I loro prodotti, poi, invadono il mercato locale. Frutta e verdura palestinesi non possono essere commerciati in Israele, al massimo all'interno dei Territori. Ma se per un motivo o per l'altro ai soldati va di chiudere i collegamenti, la merce resta invenduta e va a male, magari anche per le lunghissime ore di attesa sotto il sole.

Che dire...

Boh, finora ho sempre cercato di comprare prodotti palestinesi ma ammetto che è veramente difficile: o perché non ci sono, o perché sono più cari, o perché sono visibilmente più scadenti. Comunque, di solito chiedo: piuttosto compro turco o siriano o egiziano, ma israeliano no!

Vi invito a fare altrettanto: non so cosa ci sia in Italia di prodotti israeliani. Le uniche cose che conosco sono gli avocado, i pompelmi e altri agrumi della Jaffa. Li si riconosce per l'etichetta verde e la scritta gialla.
Ci conto...

28 agosto 2008

In una terra disperata, almeno il calcio...


Rodrigo Palacio J.R. Riquelme

Almeno il calcio rallegra i cuori. O meglio, il cuore. Il mio...
Il Boca Juniors conquista il suo 18° trofeo internazionale, la Recopa Sudamericana (che si disputa tra i vincitori della Copa Libertadores de América e la Copa Sudamericana. Insomma, l'equivalente sudamericano della Super Coppa Europea) ridiventando -col Milan- la squadra più titolata al Mondo.
¡OTRA! ¡OTRA COPA BOCA!

Partita finita 2-2 con l'Arsenal de Sarandí alla Bombonera, dopo il 3-1 a nostro favore all'andata. In gol per il Boca: Rodrigo "La Joya" Palacio e la medaglia d'oro olimpica Juan Roman Riquelme, su punizione magistrale.

Titolo dedicato ovviamente a Martín "el Loco" Palermo dopo il grave infortunio al ginocchio. E, col solito sarcasmo, agli eterni nemici pennuti del riv*r plate...

(qui sotto metto uno dei tantissimi manifesti di scherno che molto spesso invadono Buenos Aires. Purtroppo per loro, raramente succede il contrario...)


("una tradizione argentina: Asado, Mate, Tango -e sullo sfondo uno scorcio del quartiere de La Boca-, Boca 1 river 0")

il piú fresco, dedicato a Palermo (e alle galline, ormai solo pulcini, del riv*r plate)

27 agosto 2008

Vigile urbano

Oh...
finalmente ce l'ho fatta. L'ho promesso, eccolo, il miglior vigile urbano del mondo:



Questo, invece, sono io che faccio finta di lavorare:



Ultima e poi vado a fare la spesa: ho modificato le impostazioni per i commenti. Visto che alcuni si sono lamentati, ho tolto le restrizioni lasciando piena libertà. Ovviamente, se dovessi trovare insulti o schifezze varie, mi riservo il diritto di cancellarli!

Mar salameh!

25 agosto 2008

Sulla missione Free Gaza

(fotogallery qui)

Come dicevo ieri sera, ho una preziosissima fonte a Gaza che ha cominciato a produrre notizie. Anche perche` ha trascorso la giornata di ieri con l`equipaggio delle due imbarcazioni.

Per prima cosa, ora posso confermare senza ogni dubbio il tentativo israeliano di sabotaggio delle strumentazioni di bordo. Queste erano nuove e, prima della partenza, la missione si era preoccupata di mettere a punto alcuni sistemi sofisticati per garantire la comunicazione anche in situazioni di emergenza. Come sappiamo, invece, dopo la partenza da Cipro gli strumenti di bordo sono andati totalmente in tilt in seguito al sabotaggio subito. Meno male che i comandanti sono dei veri lupi di mare, che si sono affidati alle carte nautiche e alla loro esperienza.

Ah, un altra chiave del successo e` stata la cognata di Tony Blair che era a bordo di una delle navi. Essendo lei inglese e imparentata con uno degli uomini piu` potenti del mondo, il suo diciamo "angelo custode" e` stato provvidenziale.

Confermate anche tutte le minacce di morte nei giorni precedenti. Persino la suddetta cognata famosa ne ha ricevute, pure al suo personalissimo e segretissimo cellulare. Alcuni partecipanti sono stati minacciati cosi` pesantemente (alcuni dei palestinesi, che erano in una specie di "lista nera" israeliana) da aver preferito rinunciare ad arrivare a Gaza.

Smentiti, invece, gli spari delle navi israeliane come pubblicato in un primo momento.

Le ispezioni sia a Creta che a Cipro sono state pesantissime e gli ufficiali di quei paesi hanno setacciato ogni minimo millimetro prima di lasciarli partire. Questo -e soprattutto la massiccia presenza di giornalisti internazionali tra l`equipaggio- ha convinto Israele a far passare le navi. Che nel frattempo ha fatto sapere che questo e` stato un evento piu' unico che raro...

Oggi le due navi usciranno in mare a pescare con i Gaziani. Non e` tanto un momento di piacere e relax come puo` sembrare. Il problema e` che le navi militari israeliane fanno il tiro al bersaglio contro i pescherecci scassati palestinesi. Che tra l`altro sono proprio delle barchette. Inoltre, data la scarsita' di benzina e combustibili, pescare e` un'attivita' difficile da praticare. L'ultima considerazione e' che Israele ha imposto un'area di pesca ridicola, riducendo di oltre la meta' lo specchio di mare disponibile...

Mentre gli equipaggi di Free Gaza saranno qui, probabilmente verranno ispezionati un'altra volta ma da militari israeliani. C'e' molta preoccupazione perche' si teme che possano sabotare le navi o addirittura minarle. Il pericolo e' serio (e anche a Cipro i sommozzatori hanno controllato che non ci fossero pericoli) perche' c'e' gia' stato un precedente. Nel 1967, una missione simile fu organizzata a bordo di una barca statunitense chiamata "Liberty" (proprio come una delle due di adesso). La nave, carica di attivisti statunitensi, fu fatta affondare causando la morte di decine di persone. Il governo degli Stati Uniti non mosse un dito (ne' mai lo fara' se si tratta di Israele: se avessero buttato giu' loro le torri gemelle, forse avrebbero solo detto: "hey, c'era bisogno di tutto sto casino? vabbe', la prossima volta state piu attenti"). Israele, invece, nego' il suo coinvolgimento dicendo che era stata "la sorte, ma se qualcuno in futuro ci riprovera', la sorte interverra' di nuovo".

Il problema degli internazionali della missione Free Gaza, infatti, ora e` uscire. E uscire vivi, soprattutto. Alcuni sicuramente resteranno a Gaza (dottori, principalmente), per gli altri si vedra'. Per cui continuiamo a stare attenti a cosa succede.

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Questa mattina su Al Jazeera, un alto funzionario israeliano rigettava ogni accusa che gli veniva mossa da una rappresentante di Free Gaza sull`assedio della Striscia e sulla violazione reiterata e criminale del diritto internazionale umanitario.
Secondo questo (principalmente le famose "Convenzioni di Ginevra") Israele e` un paese occupante e, come tale, ha una serie di obblighi nei confronti degli occupati (i Palestinesi) e principalmente verso la popolazione civile che NON PUO essere bersaglio ne` oggetto di ritorsione. Le scuse che Israele tira fuori (il terrorismo, Hamas, i Qassam, ecc) non lo legittimano a sottrarsi ai propri obblighi come invece fa. E, tra l`altro, non c`e` una situazione di guerra per cui le politiche di Israele non si giustificano. Per cui e` chiaro come l`acqua che e` Israele ad essere palesemente in torto. Come sempre, del resto (l`occupazione del '67, le guerre in Libano, il Muro, gli insediamenti, l`assedio di Gaza, ecc).

Una sottigliezza che smaschera Israele e` che ha riconosciuto il carattere umanitario della missione Free Gaza e l`ha autorizzata a raggiungere la citta` assediata. "Umanitario" e` un termine GIURIDICO (e non filantropico) che fa riferimento al diritto internazionale umanitario, cioe` una branca del diritto bellico, e quindi presume una situazione di EMERGENZA ovvero una situazione straordinaria per x motivi (guerra, catastrofe naturale, ecc). Percio` Israele si smentisce da se` perche` se a Gaza hanno bisogno di aiuti umanitari (e la maggioranza della popolazione DIPENDE dagli aiuti umanitari dal 2006, quando e` iniziato l`assedio) vuol dire che c`e` una situazione di emergenza, provocata dalla totale chiusura voluta da Israele. Per cui: altro che ritiro, altro che "noi non siamo piu` presenti a Gaza". E` vero che a Gaza non c`e` piu` un israeliano ma solo perche` sono fuori a fare il tiro a segno contro i Gaziani. Quindi Israele sta commettendo dei seri crimini e sta violando il diritto internazionale. Potenzialmente potrebbe essere oggetto di ritorsioni. Ma chi le applicherebbe mai? Quanta ipocrisia...

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La cosa piu' importante e' la reazione dei palestinesi. A Gaza ovviamente e' stata una festa enorme: la gente piangeva, si abbracciava. Nessuno, infatti, pensava che ce l'avrebbero mai fatta. Qui in Cisgiordania (per quello che ho visto io, pero' c`e` da tenere in conto che sicuramente mi sono perso qualche cosa per il fatto di non conoscere l'arabo) le reazioni mi sono sembrate poche e tiepide. Purtroppo Gaza e la West Bank ormai sono due entita' separate e che praticamente non hanno quasi piu' nulla in comune. Dal 2006 la situazione e' solo peggiorata e ora, con Hamas che controlla Gaza e Fatah che regna qui, e` ancora peggio (ma per colpa di Fatah, piu' che di Hamas). Se in piu' ci mettiamo la crescente apatia dei palestinesi, soprattutto di quelli di qui (al contrario dei Gaziani, che sono irriducibili come il villaggio dei Galli di Asterix) un po` si puo' capire.

Tuttavia, questa mattina in ufficio c'erano commenti entusiasti e di lode per il coraggio e la tenacia degli attivisti. Anche qui, pero', hanno lanciato una frecciatona ai Paesi Arabi (la leadership, ovviamente, piu' che le popolazioni!): se due barche sfigate di attivisti hanno rotto l'assedio, sfidato Israele e vinto, perche' voi che siete cosi' tronfi e palloni gonfiati non avete mosso un dito finora?

24 agosto 2008

Ramallah

Dimenticavo di dire che ieri sera all' AIC di Beit Sahour abbiamo visto un film israeliano. Non era sull'occupazione ma in qualche modo l'argomento veniva sfiorato. Il film si chiama "Close to home" (vicino a casa) ed è ambientato a Gerusalemme. E' la storia di due soldatesse di leva (il servizio militare è obbligatorio per TUTTI e dura 3 anni) che hanno il compito di pattugliare i quartieri arabi di Gerusalemme, chiedendo la carta d'identità ai palestinesi e schedandoli man mano. Un compito ingrato che viene spacciato come necessario per garantire la sicurezza.
Il film non è contro l'occupazione, non è neanche a favore dei palestinesi. Insomma: non tratta temi "politici". La storia è tutta incentrata sull'assurdità di questa unità di sbarbatelle, molte delle quali proprio se ne strafregano della divisa che portano e lo fanno solo perché devono. Il film, tra l'altro, si apre con un episodio di insubordinazione da parte di una delle ragazze che si rifiuta di perquisire una donna palestinese e chiede di essere sottoposta a visita psichiatrica perché il servizio cui è costretta la sta facendo impazzire per davvero. Al rifiuto della superiore, la soldatessa scatena un finimondo facendo saltare tutte le perquisizioni al check point. Cosa che pagherà col carcere.

Insomma: il punto di vista stavolta è israeliano. Il messaggio è chiaro: i soldati di leva stanno letteralmente perdendo le rotelle. Giovani e inesperti, a volte ancora immaturi, sono costretti a caricarsi sulle spalle una pressione enorme di cui farebbero volentieri a meno ma non possono.

Mentre guardavo il film, mi venivano in mente le soldatesse di leva che trovo al gate di Betlemme, quando vado a Gerusalemme. Vedere queste bambine (perché di bambine si tratta, alla fine, anche se hanno 18 anni) costrette a indossare la divisa e portare dei mitra più grandi di loro mi provoca una sensazione di enorme disagio. Dovrebbero stare da tutt'altra parte, che ne so: oltre che in discoteca a ballare sul cubo (piuttosto il cubo che non il check point), dovrebbero stare al bar a bere cappuccino, sdraiate in un prato intente a leggere un libro, a fare due passi in centro con amiche e/o morosi. Piuttosto anche in giro a fare shopping. Insomma: qualsiasi cosa che possa fare una normale ragazza di 18 anni che sia secchiona, punkabbestia, discotecara, fighetta o acqua e sapone...

Conclusione: un altra assurda tessera che va ad aggiungersi ad un mosaico sempre più assurdo e surreale.
Meno male che questa dovrebbe essere la Terra Santa. Non voglio neanche immaginare se fosse stata la Terra Maledetta...


Ah... A proposito di terra maledetta, l'altro ieri a Gerusalemme ho visto la mitica Geenna!!! quella dove "vi sarò pianto e stridore di denti". Ovvero, quella che nel Nuovo Testamento è l'INFERNO!!!
La Geenna sarebbe l'antichissima discarica di Gerusalemme, situata a sud del monte Sion. Oltre ai rifiuti, la gente vi gettava i cadaveri di chi non aveva ottenuto il permesso per la sepoltura. Così, per evitare il difondersi di malattie, i cadaveri ed i rifiuti venivano incendiati e c'era, così, un incendio perenne. Ecco l'immagine dell'Inferno che più ci è familiare.
Oggi la Geenna è un quartiere sfigato (e come potrebbe non esserlo, con un simile passato!) fuori dalle mura di Gerusalemme, vicino alla valle del Cedron. E', appunto, situato a sud ma bene o male fa parte di quella che dovrebbe essere Gerusalemme Est, quindi in zona Palestinese. Forse solo quei poveri diavoli degli abitanti (passatemi la battuta) sono palestinesi, perché la zona è ormai in mano israeliana. Insomma: Israele vuole tutto per sè, pure l'inferno...

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Oggi pomeriggio ho fatto un giretto a Ramallah, la capitale de facto dell'ANP (anche se i Palestinesi non molleranno mai -e con tutte le ragioni di questo mondo- i reclami di sovranità su Gerusalemme Est). In teoria dovrebbe essere qui vicino, è solo a 20 km. In pratica, però, ci ho messo quasi 1 ora e mezza. Il motivo? Dovrebbe essere chiaro, ormai, dopo un mese abbondante che mi sopportate. Sì, i check point. Ma anche il Muro, gli insediamenti, e tutti i vari ostacoli che costringono i Palestinesi a percorrere strade secondarie spesso in condizioni disastrose.
Oggi ho voluto provare a vedere se, cambiando un attimo il look, i negozianti mi avrebbero scambiato ancora per turista oppure no.

Piano di fantozzi: 2 kg di gel di qualità scadente, pettinatura da tamarro, occhiali da sole, pantaloni di lino scuri non stirati, camicia a righe e quadretti azzurri con le maniche tirate su e sbottonata sul petto, e cintura con fibbia vistosissima.
Risultato: la gente mi parla in arabo e i negozianti non mi cagano neanche di striscio. Piano riuscito. Domenica prossima riproverò ad andare alla spianata delle moschee e vediamo se ci cascano anche le guardie! Intanto, ho saputo che nemmeno Abu Wahid mi ha riconosciuto... Sono sulla buona strada.

Ramallah è una città molto diversa da quelle che ho visto finora. Se Betlemme è pacifica, Hebron psicopatica, Nablus orgogliosa e conservatrice (Jenin, da quanto mi hanno detto, è stata ridotta ad un misero villaggione tendente all'incazzoso, per colpa di un'occupazione israeliana sadica che l'ha quasi rasa al suolo trucidando un sacco di gente), Ramallah è la più commerciale e meno araba. Secondo wikipedia, prima della Prima Intifada era conosciuta come "la Parigi della Cisgiordania" per la sua vita mondana, i suoi negozi e i suoi caffé. L'ambiente è più o meno lo stesso, anche se il paragone con Parigi è molto azzardato. (Buenos Aires sì, ecco, può fregiarsi con tutti gli onori del titolo di "Parigi latinoamericana", per la grande somiglianza anche architettonica con la capitale francese).
Tuttavia, Ramallahmi è sembrata più "tranquilla" per quanto riguarda l'occupazione, e più vivace per lo stile di vita dei suoi cittadini, sicuramente un po' più occidentalizzati e laici. Sempre secondo wikipedia -ma non ho appurato- il sindaco di Ramallah è una donna cattolica.
Alla faccia di chi dipinge gli arabi come dei misogini primitivi estremisti!!!

Non ci sono stato molto, ho girovagato per un paio d'ore godendomi anche il mio aspetto veramente palestinese e spiaccicando ogni tanto anche qualche parola in arabo giusto per non destare sospetti, he he! Però, ecco, almeno il mausoleo di Arafat volevo vederlo...




Ah...ho incontrato il miglior vigile urbano della storia. Purtroppo non riesco a caricare il filmato, ci riproverò. Non anticipo nulla...


p.s.: amo Al-Jazeera!!!!!!! In questo momento sta passando in diretta il campionato argentino di calcio, Boca Juniors vs. Lanús! (e i commenti sono in inglese, così almeno li capisco). E la partita mo' me la guardo sorseggiando un buon bicchiere di vino palestinese, di Betlemme... Eh già esiste ed è pure buono! he he!





(pubblicità della birra Taybeh a Ramallah)


P.s.: ho sguinzagliato un collaboratore free-lance a Gaza che mi darò importanti informazioni di prima mano sulle opinioni dei locali riguardo l'arrivo nella Striscia delle due navi pacifiste.

P.p.s.: mmmm... in realtà non ho sguinzagliato nessuno, il tizio free lance a Gaza c'era già e quindi gli ho chiesto questo "piccolo" favore...