Le ultime notizie riguardano i processi ai repressori, assassini e complici dell'ultima dittatura militare (1976-1983) che fu il necessario “processo di riorganizzazione nazionale” per distruggere definitivamente un modello economico basato sulla centralità dello Stato (che, nonostante tutto, funzionava; tant'è vero che per un periodo l'Argentina fu pure una delle grandi potenze economiche del pianeta...) e consegnarlo nelle mani del capitalismo straniero neo-liberista. Per fare ciò, fecero letteralmente “sparire” 30.000 persone, torturandone brutalmente migliaia con la “picana” (un saldatore con cui ci si divertiva a lanciare scariche elettriche ai detenuti) ammazzandone altrettante, rubando e trafficando i figli neonati delle prigioniere che partorivano nei campi di concentramento e tante altre belle cose. “Terroristi, comunisti”, solita scusa.
Erano studenti (anche minorenni), sindacalisti, operai, avvocati, giornalisti indipendenti e/o di sinistra, preti, suore, vescovi (legati in qualche modo alle comunità di base, alla teologia della liberazione o che semplicemente cercavano di seguire il Vangelo e quindi non stavano di sicuro dalla parte dei militari). C'erano, sì, anche militanti armati: ERP, Montoneros, JP. Una piccola minoranza che comunque non era di certo paragonabile (né per mezzi, né per crudeltà) alla repressione dei militari o degli squadroni della morte di estrema destra.
Insomma: "terroristi, comunisti" che giustificavano una "guerra interna" per difendere "gli interessi nazionali".
Assieme ai repressori e agli industriali che sostenevano gli assassini al potere, c'erano persino dei preti che assistevano alle torture, terrorizzavano i prigionieri , cercavano di convincere i familiari o gli stessi prigionieri a "cantare" consolavano quei rari militari che ogni tanto cedevano, convincendoli che era necessario che torturassero e ammazzassero. No, non sono balle: è tutto documentato e provato.
Dopo 30 anni ci sono dei processi, finalmente, ma in questi 30 anni quei repressori, assassini e complici vari sono rimasti a piede libero e non solo: hanno mantenuto i loro posti, sono stati promossi, hanno continuato a decidere la direzione politica ed economica del paese. Con quali risultati? La famosa crisi del 2001 parla per me.
Due giorni fa, due di questi grandissimi bastardi sono stati condannati all'ergastolo. Magra consolazione, se poi ci aggiungiamo che sconteranno la pena agli arresti domiciliari nelle loro lussuose ville.
Un celebre giornalista argentino, Osvaldo Bayer (storiografo anarchico, esiliato nel '74 e sceneggiatore del film “La Patagonia Rebelde” vincitore dell'Orso d'Argento al festival del cinema di Berlino, che parla dei veri fatti accaduti negli anni '20 quando l'esercito argentino soffocò nel sangue gli scioperi dei lavoratori agricoli), che ho la fortuna di conoscere di persona e di cui posso anche vantare l'amicizia, ha scritto un articolo per il quotidiano argentino “Página/12”. E' titolato “le lacrime di Bussi”, uno dei condannati appunto, e ho deciso di tradurlo perchè alcuni passaggi mi sembrano validi anche per l'odierna situazione palestinese...
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Le Lacrime di Bussi
di Osvaldo Bayer
Da Bonn, Germania
Ancora lo stesso. O peggio. Se uno non fosse pessimista, lo diventerebbe. Basta leggere le ultime statistiche, gli ultimi studi, per domandarci per l'ennesima volta: in che mondo viviamo?
Ma basta con i prolegomeni. Andiamo ai fatti. La Banca Mondiale l'ha appena detto: un quarto della popolazione mondiale vive sotto la soglia della povertà. E il progresso? Qual è il progresso? E chi è povero? Per fare questa statistica l'organizzazione qualifica come povero chi guadagna meno di 1,25 dollari al giorno. Nell'Africa subsahariana, la metà della popolazione vive in condizioni di estrema povertà. D'altra parte, 850 milioni di esseri umani non sanno di cosa si ciberanno il giorno seguente. La metà sono bambini.
Saltiamo da quell'Africa alla Germania, uno dei paesi meglio organizzati economicamente al mondo. Certo, secondo il punto di vista di ciò che si intende per organizzazione. Uno studio sulla situazione economica dal 2004 fino ai primi sei mesi del 2008, realizzato dalla Fondazione Hans-Böckler, lo dice con queste parole: “L'impulso economico ha sorpassato i salariati, i pensionati e i poveri. I salari reali netti in questi due anni si sono visti ridurre del 3,5%. In cambio, i profitti delle imprese e dei suoi direttivi hanno avuto una “vera esplosione” (testuale). Sono passati nello stesso periodo dal 21,8 al 26.3%.
Da queste cifre passiamo agli Stati Uniti. Andiamo alle statistiche ufficiali che ha appena pubblicato il Washington Post. Secondo le stesse, “il tetto della povertà ufficiale per una famiglia di quattro membri è stato fissato a 21.203 dollari all'anno. Il numero di statunitensi che vivono sotto questa soglia di povertà è creciuto passando da 36.5 milioni di persone nel 2006 a 37.3 milioni nel 2007.
Un altro studio ufficiale, dell'Organizzazione Mondiale della Salute, pone il seguente esempio patetico che ci fa porre questa domanda: viviamo in un mondo razionale? Si segnala il caso della città scozzese di Glasgow, tipico Primo Mondo. Si è constatato che un bambino del quartiere povero di Calton ha una speranza di vita di 28 anni più bassa rispetto ad un altro del quartire aristocratico di Lenzie. E partendo dall'esempio incredibile di quei quartieri britannici, comincia ad analizzare il problema dei “paesi in via di sviluppo” come gentilmente li si definisce. Basta un caso esemplare: in Nigeria, un bambino su quattro muore entro i primi cinque anni di vita. In cambio, nei paesi del Primo Mondo, nei primi cinque anni di vita muore un bambino su 150. “La biologia non riesce a spiegarlo” dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma ci riesce la povertà, lo sfruttamento, la mancanza di mezzi, aggiungiamo. E qualcosa più incredibile ma vera, da ripetere: “I bambini di madri boliviane analfabete hanno un rischio di morire del 10%; quelli di madri istruite, hanno un rischio di morire dello 0,4%”.
Queste cifre dovrebbero essere insegnate in tutte le scuole del mondo e i mezzi di comunicazione dovrebbero informare e promuovere quotidianamente dibattiti su questi temi. Gli esseri umani, da bambini, dovrebbero imparare che questi problemi esistono e che la ricerca di una soluzione deve essere il fondamento dell'esistenza. Non risolverlo è cinismo e perversione.
Ma lo stesso giornale in cui leggo questi rapporti consegna una cartolina lussuosamente stampata che invita a conoscere i nuovi hotel di incredibile lusso che sono stati eretti nelle spiagge di Dubai, l'emirato arabo del petrolio. Tutto è di un lusso indescrivibile -che viene descritto con talento pubblicitario- e che è dedicato ovviamente a direttivi di grandi imprese mondiali e a tutti quelli che dispongono di molti soldi. In quest'anno si sono già inaugurati otto hotel di categoria feudale e molto presto altri dieci, tutti, ovviamente, cinque stelle. Si promette uno “Shopping Heigh light” in un “vero paradiso del comprare”. E' un linguaggio con saliva grata come in questa frase: “Chi ami l'individuale e vi speciale importanza alle boutiques personali, lui sì che raggiungerà il piacere totale a Dubai. Lì troverà la moda nobile e quella stravagante e una quantità enorme di accessori eccezionali” E dopo questo, i ristoranti con pietanze dagli “esotici aromi”. Tutto è di un lusso sopraffino e audace. “Shopping, suks e cultura”. Una trilogia che si converte nell'ultima pagina di “Sport, spiagge e wellness”.
Ecco. Per qualche motivo la giustizia argentina ha condannato il più bestiale e inferiore degli assassini pubblici, il nostro generale Bussi, all'ergastolo nel suo “country” (villa, n.d.t.). Restiamo nel tono.
Poco a poco le bellezze naturali e i tesori culturali si chiudono sempre più affinché vi arrivino quelli che possono e lo meritino in questa società. Nonostante si alzino i popoli con la loro infinita protesta. Nella stessa Argentina, arrivano gli hotel cinque stelle di fronte alle Cascate dell'Iguazú con vista diretta, affinché la gente del pro non debba disturbarsi. O la Quebrada de Humahuaca, quello scenario incredibile della nobiltà del passato e dell'autoctono, oggi depredato dall'avidità dell' “investimento” che distrugge solo per produrre soldi, soldi, soldi. Tutto si compra e si umiliano quelli che hanno vissuto secoli in quel silenzio e in quella nobiltà del restare e non del voler essere, come diceva il nostro gran antropologo Kusch quando confrontava le culture originali cone la cosiddetta “civilizzazione”.
O lo stupendo lago Posadas, nell'amata Patagonia, quel paesaggio che si vuole comprare per cercare profitti nonostante si avvelini tutto con il desiderio dell'avarizia. Come dice la gente che vive da secoli in quei paesaggi, improvvisamente arrivano con un foglietto firmato e dicono che appartiene loro tutto. Cercano l'oro, come i primi conquistatori. E per questo hanno un foglietto firmato dalle rispettive “autorità”.
Vado nella mia biblioteca e lo trovo. Sorrido. Lì, in un quadernino, ho i sogni di un socialista libertario. Alexander Berkman, un pensatore incredibile, un maestro della bontà e del dibattito, così tanto perseguitato e sempre così tanto attuale. Descrive la realtà con una sapienza più vigente che mai:
“Supponiamo che tu e io e un gruppo di persone siamo vittime di un naufragio ma riusciamo ad arrivare ad un'isola ricca di ogni tipo di frutti. Ovviamente dobbiamo lavorare per raccogliere il cibo. Ma supponiamo che improvvisamente uno di noi dica che tutta l'isola gli appartenga e che nessuno di noi ha diritto nemmeno ad un boccone senza prima pagargli un tributo. Noi resteremmo perplessi, no? E scoppieremmo a ridere a crepapelle per tale stupida arroganza. Ma se costui avesse continuato a disturbare lo avremmo buttato al mare con tutta la giustizia. Supponiamo di più: che noi e i nostri antenati abbiamo coltivato l'isola e prodotto tutto ciò di cui avevamo bisogno. E improvvisamente arriva qualcuno che dichiara di essere proprietario di tutto. Cosa gli risponderemmo? Credo che nemmeno gli presteremmo attenzione. Gli diremmo che dovrebbe condividere con noi il lavoro per vivere lì. Ma supponiamo che costui insista col suo 'diritto di proprietà ” e ci mostri un foglio firmato da qualcuno sostenendo che tutto gli appartiene. Noi gli risponderemmo che è pazzo. Ma se lui avesse un governo come sostegno, vi ricorrerebbe per 'proteggere il suo diritto'. E allora, il governo invierebbe polizia e militari, che ci caccerebbe per difendere così 'diritto alla proprietà'. E diventerebbe in aeternum il 'proprietario legale'”.
Proprio così, Berkman ci descrive ciò che è successo nella storia dell'umanità. Come devono saperlo i popoli originari quando arrivarono i conquistadores con la croce sulle spalle!
In Argentina abbiamo nella nostra storia centinaia di casi. Il divenire patagonico forse è il caso più emblematico. E pochi giorni fa, in varie manifestazioni, si è cercato di non dimenticare quella storia della spoliazione e del cosiddetto “diritto di proprietà”. Si è compiuto il centenario de “La Anónima”, impresa fondata proprio cent'anni fa da Mauricio Braun e José Menéndez, padroni della terra, delle pecore, dello sfruttamento del rame, di finanziarie, delle comunicazioni navali e tutto il loro indotto. Epoca dei “liberali positivisti”. Il “diritto” alla proprietà. Nella cerimonia del centenario, nel locale del supermercato degli eredi dei citati Braun e Menéndez di Puerto Madryn, i cittadini hanno organizzato una manifestazione alla quale ha parlato lo scrittore patagonico Jorge Espíndola e hanno consegnato cento orecchie di gesso per ricordare il genocidio che i “proprietari” hanno compiuto contro i popoli originari del sud. I padroni di tutto pagavano ai cosiddetti “cacciatori di indios” una sterlina per ogni paio di orecchie1 di quegli esseri umani originari di quelle terre. Tutto un simbolo. Inoltre, i muralisti Chelo Candia e Román Cura hanno realizzato un dipinto murale di protesta in una parete inutilizzata, che però è stato prontamente coperto da “sconosciuti”.
Bambini affamati. Violenza nelle strade. Guerra in ogni angolo. Ricchezza smisurata e povertà umiliante. Un costante degrado. Ci resta soltanto piangere il nostro cinismo come Bussi, o immaginare un mondo come lo pensava Alexander Berkman, un'isola piena di futti per tutti?
Sì, lo riconosco, anche l'ingenuità esiste. Perché no? Anche se cominciassimo col dipigere un murales a Puerto Madryn e ce lo cancellino immediatamente. Accettare un mondo così è trattare di consolare le lacrime di Bussi.
1 Oscar Payaguala, un cantautore patagonico di origini Aonik'enk (uno dei popoli quasi sterminati a fine '800, conosciuti anche come Tehuelche), in una sua canzone accusa: “perché avete voluto tante orecchie, se non sapete ascoltare?”...
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